Nel mondo non del mondo. La fede nell'epoca post cristiana
L’uomo è davvero davanti al bivio, come mai prima d’ora, tra Dio e la società? Ne hanno discusso il saggista americano Rod Dreher, il direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian e Giuliano Ferrara
Pubblichiamo la trascrizione della conversazione tra il saggista americano Rod Dreher, il direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian e Giuliano Ferrara, avvenuta lunedì 10 settembre al Teatro Piccolo Eliseo di Roma sulla fede nell’epoca post cristiana e l’Opzione Benedetto. L’evento è stato organizzato dal Foglio con la Fondazione De Gasperi.
Rod Dreher: Buonasera a tutti e grazie davvero di essere con noi stasera, per me è un grande onore essere qui perché provengono dall’Italia tre delle figure più importanti che hanno segnato la mia vita, ovvero san Benedetto da Norcia poi Dante Alighieri e da ultimo Marco Sermarini. Oggi la chiesa è in grande crisi, la più grande dai tempi della Riforma, forse la più grande dalla caduta dell’Impero romano. Il Papa e i suoi predecessori sono accusati di aver coperto i misfatti di un cardinale gay corrotto e altri invece sostengono che il Papa sia vittima di un complotto conservatore. Viviamo in un’epoca in cui vescovo si contrappone a vescovo e il laicato è in uno stato di confusione ed è anche spaventato. Andando oltre la cronaca quotidiana, la fede è stata in grave declino per intere generazioni. In Italia come in America noi cristiani non siamo stati in grado di trasmettere la fede ai nostri figli. Mi sembra chiaro che ormai viviamo in una società post cristiana. (…)
Ma allora cosa deve fare un cristiano fedele? Ora vi chiedo di accompagnarmi verso la periferia orientale della città di Roma, siamo attorno all’anno 500 e un giovanotto corre verso la foresta accompagnato dalla sua balia. Il giovanotto è Benedetto, è nato a Norcia da genitori cristiani ed era arrivato a Roma per completare la sua istruzione. L’Impero era già caduto e la capitale era dominata dai barbari. Gli standard morali dei romani avevano subìto un crollo impressionate e il giovanotto aveva visto i suoi compagni sprofondare nella corruzione. Il giovanotto temeva che la stessa cosa sarebbe successa anche lui, che avrebbe perso Dio e la sua anima immortale.
Benedetto lascia tutto alle spalle e non sa cosa il futuro ha in serbo per lui. Sa solamente che se resta a Roma rischia di perdere la fede. Dunque, Benedetto ha intenzione di andare a vivere in una grotta a Subiaco dove digiunerà. Pregherà, leggerà le sacre scritture e aspetterà che Dio gli dica cosa fare. Dopo tre anni, Benedetto uscirà dalla sua grotta e fonderà i monasteri che chiamerà “scuole per il servizio del signore”. Un giorno scriverà la sua famosa Regola che è rivolta ai laici che desiderano vivere in una comunità cristiana. La regola di Benedetto è breve e molto semplice. Tuttavia, è uno dei documenti più incisivi della civiltà occidentale. I monaci benedettini hanno salvato la nostra civiltà perché durante il medioevo i monasteri benedettini si sono sparsi in tutta Europa come le stelle nel firmamento e sono stati centri di dottrina, di studio e di luce in tempi molto bui. I monaci hanno preservato la memoria dell’occidente e l’hanno tenuta viva nelle loro biblioteche e hanno posto le fondamenta per la rinascita della vita civile.
La chiesa, dice Rod Dreher, è in grande crisi, “la più grande dai tempi della Riforma, forse la più grande dalla caduta dell’Impero romano”
Vorrei essere chiaro su un punto, san Benedetto non si era prefisso di salvare la civiltà occidentale ma voleva solo essere fedele alla lezione di Dio e vivere in una comunità dove poteva insegnare agli altri come vivere da cristiano. Alla sua morte, avvenuta nel quarto decennio del Sesto secolo, Benedetto ha lasciato dietro solo un piccolo numero di monasteri nei pressi di Roma. Tuttavia, ha lasciato dietro un modo di vivere il Vangelo che avrebbe raccolto le energie spirituali sparse nel suo tempo e nei suoi luoghi e le avrebbe sottoposte a un processo di raffinamento e avrebbe preparato l’occidente per la grande fioritura che si è avuta sei secoli dopo con san Francesco di Assisi. Che è stato giusto per il suo tempo esattamente come Benedetto è stato giusto per il suo tempo ma Benedetto è giusto anche per il nostro tempo. Io credo che Benedetto sia un esempio per noi cristiani di oggi. (…)
A me sembra che sia un suicidio spirituale restare dentro al mondo post cristiano se la situazione delle famiglie è questa. Oggi noi cristiani siamo nella stessa situazione del giovane Benedetto che è di fronte alla società moderna ma è anche di fronte a una scelta che cambierà la sua vita. Abbiamo il coraggio di voltare le spalle a quel mondo e di avviarci nel fitto della foresta in cerca del Signore? Vogliamo più Dio o il mondo? Se la risposta è Dio, abbiamo già compiuto i primi passi in quella che io chiamo l’opzione Benedetto. La crisi oggi è spaventosa eppure cosa ci sentiamo dire dai nostri leader? Che tutto va bene, che non dobbiamo essere preoccupati ma felici.
A me sembra come se stesse arrivando un’inondazione disastrosa ma i nostri leader ci dicono: “Rilassatevi e godetevela, adesso fuori dalla porta di casa avete un bellissimo lago”. Cari amici, l’inondazione è arrivata e l’acqua sta salendo velocemente. Quello che stiamo facendo noi cristiani non funziona e quindi è il momento di avviare un cambiamento radicale, è ora di costruire arche prima che l’inondazione non ci travolga”. Tre anni fa quando ho compiuto la mia prima visita al monastero di Norcia sono stato a pranzo col Priore, padre Cassiano Folsom, e gli ho parlato dei punti principali dell’opzione Benedetto. Il primo principio è che noi cristiani dobbiamo vederci come degli esuli in un mondo che si sta facendo sempre più ostile all’autentica fede cristiana. Tuttavia, dobbiamo essere quelle che Benedetto chiamava “le minoranza creative”, dobbiamo imparare a vivere con gioia il nostro esilio interno.
Dreher: “I monaci hanno preservato la memoria dell’occidente e hanno hanno posto le fondamenta per la rinascita della vita civile”
Secondo principio. Dobbiamo recuperare la preghiera e tutte le altre discipline spirituali che hanno radice nelle tradizioni della chiesa. Noi cristiani comuni dobbiamo lavorare per rendere più monastica la nostra fede, dobbiamo vivere come se tutto quello che facciamo fosse preghiera e la vita fosse una manifestazione dello Spirito Santo. E’ l’unico modo in cui possiamo recuperare la dimensione sacra della vita che nella modernità è andata persa. Il terzo principio è che dobbiamo recuperare un senso profondo dell’ordine, e non sto parlando solo di seguire le regole dico che dobbiamo recuperare un rapporto corretto con Dio e con il mondo.
Quarto, dobbiamo stabilire una qualche forma di vita cristiana comune per affrontare questa catastrofe. Quinto, noi dobbiamo respingere quella che Benedetto XVI ha chiamato la dittatura del “relativismo” e dobbiamo educare noi stessi e i nostri figli secondo gli insegnamenti della chiesa e secondo le tradizioni culturali e letterarie della nostra civiltà. Sesto e ultimo punto, la nostra vocazione deve essere quella di vivere nel mondo e non nei monasteri ma non dobbiamo farci assimilare da questo mondo. Ha ragione Papa Francesco quando dice che “noi cristiani siamo chiamati a condividere la nostra fede e il nostro amore per Cristo con il mondo” però non possiamo dare quello che non abbiamo. Padre Cassiano mi ha ascoltato con attenzione e poi mi ha detto che tutti i cristiani che non riusciranno a seguire l’opzione Benedetto non riusciranno ad affrontare queste tenebre che scenderanno su di noi, con la fede intatta. Mi ha detto che “ci sono dei cattolici che vivono secondo l’opzione Benedetto, vivono sull’altro versante delle montagne a San Benedetto del Tronto, dovresti andare a trovarli”.
Ed e così che ho incontrato i “tipi loschi”, che sono il migliore esempio a mia conoscenza di come dovrebbe funzionare l’opzione Benedetto. E così che ho conosciuto Marco Sermarini che di questo gruppo è il leader ed è uno dei miei eroi. Se pensate che l’opzione Benedetto sia un consiglio che vi porterà nel cuore paura e rabbia, vi esorto a passare un po’ di tempo con i “tipi loschi”. Si tratta di famiglie cattoliche attive dedite al magistero della chiesa e colme del Vangelo. I “tipi loschi” seguono l’esempio del beato Pier Giorgio Frassati, e vanno a messa in parrocchia. Studiano la Bibbia, pregano insieme, condividono i pasti e compiono pellegrinaggi soprattutto nel monastero benedettino di Norcia. Coltivano il loro giardino e hanno persino fondato una scuola cattolica, intitolata a Gilbert Keith Chesterton.
Secondo l’autore de “L’opzione Benedetto”, è necessario stabilire una qualche forma di vita cristiana comune per affrontare la catastrofe
Loro servono i poveri e dunque sono un esempio di controcultura, proprio secondo la chiamata di Papa Benedetto a essere delle “minoranza creative” in questa società post-cristiana. Marco e i suoi compagni di università hanno iniziato i “tipi loschi” negli anni Novanta quando erano tutti molto insoddisfatti dal cattolicesimo così come era vissuto ogni giorno. Marco e i suoi amici cercavano un modo più radicale per servire Dio, e hanno imparato che l’unica cosa di cui avevano bisogno da cristiani fedeli ce l’avevano davanti agli occhi da sempre. Queste verità erano state sempre nascoste. Marco mi ha detto che “noi non abbiamo scoperto niente, ci siamo solo ricordati di alcuni insegnamenti che avevamo chiuso in una scatola e l’avevamo dimenticati”. Il futuro del cristianesimo viene deciso dalle comunità di veri credenti come lo sono i “tipi loschi”. E’ vero, in un certo senso, lasciano il mondo così come San Benedetto ha voltato le spalle a Roma e se n’è andato. Però, da un punto di vista simbolico, queste persone entrano nella grotta di Subiaco per affondare le loro radici spirituali sempre più giù. E loro non restano nella grotta, non vivono da eremiti, ma entrano nel mondo per condividere i doni del Signore così come ci ha incoraggiato Papa Francesco. L’opzione Benedetto non riguarda solo la nostra sopravvivenza come cristiani ma riguarda anche il futuro del genere umano. Se noi dobbiamo essere per il mondo come Cristo ci ha insegnato, allora dobbiamo trascorrere più tempo lontani dal mondo, dobbiamo pregare e seguire una formazione spirituale più seria. (…)
L’opzione Benedetto non è una formula magica, è un modo di vivere la vita da cristiani in una civiltà post cristiana. E’ un appello alla chiesa affinché svolga la sua funzione in delle circostanze che non ha mai vissuto fin dai suoi primi secoli. E quindi l’opzione Benedetto sarà diversa a seconda dei luoghi perché i cristiani che la seguono devono adattare i princìpi alle loro tradizioni locali. Per questo motivo non dobbiamo essere rigidi e nostalgici ma dobbiamo lavorare insieme per costruire un futuro praticabile per noi stessi e per i nostri figli. Lo scopo comune è una ricerca radicale di santità.
Il discorso “profetico” del professor Joseph Ratzinger sulle minoranze creative che salveranno la chiesa. Correva l’anno 1969
Qualsiasi cosa sia meno di questo diventerà ateismo, non ci sono altre opzioni. C’è già stato un Benedetto che tutto questo lo aveva previsto. Nel 1969 un sacerdote di nome Joseph Ratzinger ha avanzato una profezia. Parlando agli ascoltatori della radio tedesca Ratzinger predisse una grave crisi che avrebbe distrutto gran parte della ricchezza e del potere della chiesa. Predisse che la chiesa sarebbe diventata molto più piccola ma i superstiti sarebbero stati il seme del rinnovamento. Ratzinger aggiunse queste parole: “Il futuro della chiesa potrà venire e verrà da coloro le cui radici sono profonde e vivono a partire dalla pienezza della loro fede. Il futuro della chiesa sarà plasmato di nuovo dai santi, quegli uomini la cui mente indaga più a fondo degli slogan quotidiani. Quegli uomini che vedono più degli altri perché le loro vite abbracciano una realtà più ampia. Joseph Ratzinger è stato un profeta e il santo di cui ha scelto di prendere il nome quando è stato eletto Papa, cioè Benedetto di Norcia, ci mostra come sopravvivere a questa epoca buia. Ci mostra come facciamo a sopravvivere a questa nuova età di tenebra e come possiamo essere una vera luce per il mondo.
Torniamo a san Benedetto che lasciava Roma. Era un ottimista? Certo che no. Benedetto in quel momento vedeva corruzione ovunque ma aveva fede in Dio e si è messo a cercare il Signore procedendo sempre avanti. Attraverso la sua rinuncia, in cui ha detto sì a Dio e no al mondo, ha aperto le porte a un glorioso rinascimento della fede. Non ottimismo, ma speranza. Mentre l’Impero che ci circonda cade in rovina, noi cristiani oggi attendiamo un nuovo Benedetto che indubbiamente sarà molto diverso da quello antico. Invito ciascuno di voi a riflettere e ad ascoltare queste mie parole. “Amico mio, magari tu sei colui che il Signore sta chiamando a guidare il suo popolo in un’epoca come questa”.
Il Foglio: Direttore Vian, cosa pensa della lettura che fa Rod Dreher della questione? Siamo davvero come non mai davanti al bivio: o Dio o il mondo?
Giovanni Maria Vian: Sì e no. Questo libro è molto ben costruito, molto suggestivo; del resto abbiamo ascoltato che è frutto di dieci anni di lavoro. Ma contiene molto di più di quanto l’autore ci abbia spiegato fino adesso sintetizzandone il messaggio. Il lettore trova anche una breve storia dei venti secoli cristiani e non cristiani in occidente. Ed è un libro fortemente radicato nella realtà statunitense, benché poi guardi a oriente, all’Italia, al centro dell’Italia, a Norcia, e a San Benedetto del Tronto. Resta però un libro fortemente americano. Una realtà certo importante e che influisce sull’Europa occidentale, ma che è una realtà particolare. L’editore, esemplandosi sull’edizione originale, ha scelto l’immagine suggestiva di una cittadella su un monte circondato da nubi e nebbie. È un po’ quello che l’autore accennava anche durante la presentazione e che nel libro ritorna con espressioni angoscianti come quella di una “nuova età oscura”.
Vian: “I riflettori sono puntati da Dreher su una piccola parte del mondo. E’ un libro suggestivo, ma non convincente”
Davanti a questa situazione Dreher propone la costituzione di piccoli monasteri, le famiglie, e di piccole aggregazioni di famiglie che arrivano a costruire delle scuole cristiane, di diverso livello, addirittura fino all’insegnamento secondario superiore, par di capire. Il sottotitolo, “Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano”, può essere accolto, ma se si aggiungono due aggettivi: “Una strategia per i cristiani conservatori in un mondo post-cristiano”. E’ questo il limite principale del libro. Anche se è efficace lo slogan scelto dagli organizzatori di questa presentazione: “Nel mondo, non del mondo”, che è la notissima espressione giovannea, il libro – chiaramente molto ideologico e molto schierato – è un po’ debole dal punto di vista complessivo della storia occidentale, se non altro per il fatto che è molto parziale. I riflettori sono puntati su una piccola parte del mondo. Ma soprattutto è un libro non convincente. Suggestivo, ripeto, ma non convincente. Dreher è poi molto al corrente di tutto quello che omette. Mi limito a un paio di citazioni. L’autore è attualmente cristiano ortodosso e fa un’allusione alla “preghiera del cuore” che gli italiani di una certa età, di formazione cattolica, riconoscono subito perché è al centro di quel straordinario libro che è “I racconti del pellegrino russo”.
Questa preghiera del cuore è però raccomandata da un monaco all’autore con le parole “in questo modo tu ti astrai da te stesso”. Rischia insomma l’effetto “terapia”, che Dreher, giustamente a mio avviso, detesta. L’altra citazione, esplicita invece, è da Bonhoeffer, non ricordo se da La vita comune, senza ricordare la sua definizione del monachesimo come reazione alla mondanizzazione della chiesa. Sintetizzando, Dreher – ed è il limite principale – propone di stare “fuori del mondo”. Fuori del mondo bisogna starci, è chiaro: tutto il corpus giovanneo è percorso dalla tensione tra luce e tenebre e via discorrendo. Questo senz’altro. E lo stesso autore dice poi che bisogna andare nel mondo e cita il Pontefice e il suo predecessore, Benedetto XVI. Ed un po’ tutta la storia cristiana. Benedetto si ispira al monachesimo egiziano, ad Antonio, a Pacomio. A sua volta questo si ispira a un modello giudaico, poco noto ma descritto in maniera affascinante da Filone nel De vita contemplativa. Il monachesimo – proprio Bonhoeffer lo descrive con grande lucidità, anche se non è naturalmente il primo a farlo – è una reazione alla mondanizzazione della chiesa.
La situazione che Dreher descrive, quella che oggi si vive più nell’Europa occidentale che negli Stati Uniti, è una invece situazione di scristianizzazione. In un contesto di secolarizzazione che inizia alla fine del medioevo e attraverso un lungo processo di secolarizzazione che però ha anche purificato le chiese cristiane. Resta un po’ a margine l’ortodossia cui adesso appartiene Dreher. Ma resta poi fuori tutto il mondo che attualmente costituisce la grande maggioranza del mondo cristiano. I cristiani di diverse confessioni crescono soprattutto nell’emisfero sud. Ed è interessante che il monachesimo conosca un risveglio anche non cattolico a metà dell’Ottocento con il movimento di Oxford. Nascono molti gruppi monastici anglicani, soprattutto. Ma poi negli anni quaranta del secolo scorso vi è il fenomeno di un monachesimo che nasce protestante e diventa realmente ecumenico: sto parlando dalla comunità di Taizé, realtà che attira sin dalla metà degli anni sessanta moltissimi giovani, soprattutto europei, ma che progressivamente si apre anche al resto del mondo. E consiglierei Dreher, nel suo prossimo viaggio in Italia, di andare in Piemonte, a Bose.
Lì, una cinquantina d’anni fa, nasce un’altra comunità monastica ecumenica che ha oggi un’incidenza rilevante. E si potrebbe continuare ancora. Guardando al monachesimo tradizionale – non alludo a quello dei benedettini di Norcia, e penso per esempio soltanto Montecassino – viene invece da piangere, davvero “sunt lacrimae rerum”. Questi monachesimi a cui ho accennato sono monachesimi diversi, su cui sarebbe interessante sentire l’opinione di Dreher. Il libro si apre con questa immagine suggestiva dell’uscita di Benedetto da Roma, che lascia la città imperiale in rovina. Sì, Benedetto affascina, ma poi Francesco e Domenico nascono come reazione alla mondanizzazione del monachesimo benedettino. Di fronte all’incredulità che comincia ad affermarsi fortemente, Ignazio, un giovane basco, ha l’intuizione studiando nell’università di Parigi della futura Compagnia di Gesù. Ascoltando la storia di Benedetto che lascia Roma, mi è però venuta in mente un’altra storia, tratta da un antico apocrifo cristiano e rilanciata enormemente da un romanziere polacco, poi ripreso in numerosi film.
Un libro “giustamente ideologico”, fatto “non per essere affidato ai caratteri mobili bensì alle anime”, osserva Ferrara
In “Quo vadis?” Pietro di fronte alla persecuzione lascia Roma e sulla via Appia, dove oggi c’è una bella chiesetta barocca, incontra il Signore che sta andando verso Roma. E Pietro gli chiede: Signore, dove vai? (“Domine, quo vadis?”). E questi risponde che sta andando a Roma a farsi crocifiggere di nuovo. Che è il percorso inverso di quello di Benedetto. Credo che alle donne e agli uomini di oggi parli di più un modello di cristianesimo più comprensibile. Nel 1950, Giovanni Battista Montini, che tredici anni dopo verrà eletto Papa e prenderà il nome di Paolo, il propagandista più sensazionale del cristianesimo, incontrò per la prima volta Jean Guitton, autore poi dei Dialoghi con Paolo VI. Montini gli dirà, a proposito di un suo libro pubblicato finito sotto gli strali del Sant’Uffizio e dell’Osservatore Romano: bisogna essere antichi e moderni, perché a cosa serve dire quello che è vero se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono? Ecco, io credo che questo libro parli a chi è già convinto ma non riesca ad andare molto più in là.
Giuliano Ferrara: Io ho due obiezioni. Naturalmente è interessante e suggestivo, come diceva Vian, mettersi da parte per custodire un seme partendo da un autentico spavento, dalla ricognizione di un panorama in cui campeggia questa inondazione, spirano venti tempestosi, tutto è in pericolo. E’ suggestivo ed è bello questo costruire un esilio e farlo in modo creativo, combinare minoranze diverse, farlo in quello che è il centro della crisi, il luogo della inondazione (che non è l’emisfero sud del mondo, bensì l’occidente euro-americano, la vecchia Europa, l’anglosfera). Io penso che non si possa erigere un’obiezione teologica, di pensiero, culturale o addirittura magisteriale contro una pretesa di questo genere che implica il vissuto, l’esperienza diretta, il sacrificio di un’esistenza più semplice: compromissoria. E’ ovvio che l’Opzione Benedetto va bene. Anche la pratica, pur essendo naturalmente da definire e da capire. Anche io non conosco i “tipi loschi”, ma conosco Bose e tutto sommato vorrei andare dai “tipi loschi”.
Però ho due obiezioni di fondo. In questo libro, ovviamente colto, interessante e ben documentato – e molto ideologico, in cui Dreher mette il suo stampo, il suo imprinting, e fa benissimo a farlo. E’ un libro-esperienza, non è “libresco”, non è fatto per essere affidato ai caratteri mobili, ma alle anime, ai credenti, a un pubblico reattivo e forte –, si parte dalla rottura filosofica generativa della modernità che è quella del filosofo nominalista Guglielmo di Occam (un francescano che ha creato grandi aspettative alla cultura moderna ma che ha creato grandi guai alla chiesa perché ha corroso profondamente la vecchia metafisica scolastica, quel grande equilibrio che Tommaso in contraddizione e conflitto con Agostino aveva costruito dando all’uomo medievale quella custodia, quella protezione straordinaria che era il suo cosmo. Questo cosmo viene infranto da Occam). Giustamente Dreher dice che le radici della crisi non sono negli articoli del New Yorker di venti o dieci anni fa, non sono negli articoli del New York Times e neanche nella sola Rivoluzione francese. No, le radici sono lontane e profonde. L’impressione è quella di una rovina che accumula detriti su detriti e uccide una specie di situazione originaria felice del cristianesimo letto e interpretato dai Padri, esperito dai monaci, e poi alla fine distrutto da un’ondata demoniaca.
Benedetto che lascia Roma, un’immagine opposta al Signore dell’apocrifo “Quo vadis?” che torna per farsi cocifiggere
Il discorso di Benedetto XVI ai Bernardini ha tutta un’altra luce. Niente di quello che dice Ratzinger è direttamente contraddicibile con quello che dice Dreher: non faccio un confronto stupido tra i testi, anche perché uno è un testo magisteriale e l’altro è un lavoro di ricerca. Però ecco, è tutta un’altra cosa. Perché il progetto di Benedetto XVI di Illuminismo cristiano partiva dal fatto che l’uomo moderno è stato costruito dal cristianesimo e non contro il cristianesimo. La modernità intorno a quel grande nucleo che è il concetto di persona e a quella grande quintessenza del cristianesimo che è la nozione di libertà nasce dal cristianesimo e lo rinnega nel momento in cui relativizza la verità. Cioè nel momento in cui separa la verità dalla sua sfericità, dalla sua universalità operativa per tutti gli uomini, universalità di credo e di ragione.
Nel discorso di Ratzinger si dice subito, alle prime righe, che i due elementi fondamentali del contributo del monachesimo alla costruzione del mondo moderno sono le désir de Dieu e l’amour des lettres. Cioè, la cultura, il desiderio di Dio e l’amore grammaticale per la parola con la “p” minuscola, non quindi l’amore ovvio per la Parola rivelata e rivelante, ma proprio l’amore per quella facoltà della fede di spiegare le sue ragioni che avviene attraverso il linguaggio. D’altra parte, ed è il secondo punto, la seconda obiezione amichevole a Dreher è questa: che cosa chiede la modernità rovesciata e pervertita da un punto di vista cristiano al cristiano e di conseguenza alla sua chiesa? Gli chiede di essere privato, di aderire a un culto privato, stabilire le sue regole, amare e venerare il suo Dio nel foro interiore, privatizzarlo, familiarizzarlo anche nella forma e nell’amore comunitario. L’importante è che non pretenda di esondare nello spazio pubblico.
E invece proprio questo è stato il segnale di Benedetto. Dreher fa bene a riferirsi a Ratzinger, al suo pontificato, al significato carismatico che ha avuto la sua elezione, a tutto il ciclo giovanpaolino-ratzingeriano, a Benedetto XVI che come Papa della Renuntiatio è il vero grande Papa della crisi (ha aperto il XXI secolo con un inaudito atto di coraggio, di forza, di verità, molto tragico come quello di abbandonare il Soglio); fa bene a riferirsi a lui. Però, e in qualche riga lo si vede esplicitamente, lui dice “ma perché continuiamo a fare le guerre culturali? Perché pensiamo di poter mettere un argine magari con la norma, con la legge (vi ricordate il referendum sulle tecniche biogenetiche che si tenne in Italia, poi completamente disatteso dalla prassi delle sentenze, del diritto). Ha ragione Dreher quando dice che le guerre culturali sono state perse, con la sentenza Obergefell sul matrimonio tra persone dello stesso sesso negli Stati Uniti – e non tanto per la sentenza, ma perché la sentenza era molto popolare e nasceva da un radicale cambiamento di opinione.
Ferrara: “Dreher fa bene a citare Ratzinger, ma il discorso di Benedetto XVI ai Bernardini ha tutta un’altra luce”
Ha ragione certo, le battaglie culturali sono state perse. Che però il problema dei cristiani sia quello di occupare uno spazio non privato, ma pubblico, e che questo abbia un intrinseco elemento di contraddizione culturale che deriva dal vissuto della fede e dai significati che i cristiani danno alla fede personale, ma nell'arena pubblica, è un altro portato del lungo periodo in cui Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno esercitato la funzione di Papa o di prefetto della congregazione per la Dottrina della fede. E’ il grande scandalo culturale a cavallo del Terzo millennio, ed è una cosa rispetto alla quale l’Opzione Benedetto (del tutto lecita, fertile e feconda di qualcosa rispetto allo stato disagiato della chiesa contemporanea e dei suoi fedeli) mi sembra laterale. Non coglie lo scandalo, non lo lascia emergere. E’ una soluzione al ribasso che chiude strade, strutture di relazione, che provoca un ripiegamento.
(ha collaborato Gregorio Sorgi)
Il cristianesimo non è utopia