I vescovi in politica, ma c'è un problema
L’attacco di Avvenire al governo (sul terremoto) è il segnale della discesa in campo della Cei
Roma. “Il vero terremoto”, titolava ieri a quattro colonne Avvenire, il quotidiano dei vescovi, e la scossa tellurica che ha colpito la Romagna il giorno prima – paura ma danni lievi – è solo l’occasione per fare il pelo al governo del cambiamento che poco cambia e molto complica. Ricognizione completa da Amatrice che grida “è tutto fermo” (pagina 5) con il sindaco di Arquata del Tronto che invita i governanti a farsi vivi da quelle parti “a vedere come stiamo”. Ancora, la denuncia: “La vita sotto la neve dei terremotati, fino ai -17 gradi nelle frazioni dimenticate; la muffa nelle nuove residenze; l’isolamento dal mondo: ecco tutte le emergenze”. Nel taglio basso, “la ripresa va a rilento” anche nelle Marche, dove “diciotto casette sono ancora da assegnare”. Un quadro disarmante che chiama in causa l’esecutivo gialloverde se non altro corresponsabile di una “situazione drammatica”. Non è la prima volta che Avvenire entra con entrambi i piedi nella mischia politica, su migranti e barconi lasciati per giorni in mezzo al Mediterraneo ha attaccato pesantemente Palazzo Chigi e in particolare la posizione del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini. Ma stavolta è diverso.
Si prende un tema non di stretta attualità per affondare il coltello nelle mancanze del governo italiano. Un fatto inedito per il solitamente equilibratissimo quotidiano della Cei. E’ la spia che davvero qualcosa si è messo in moto, dalle parti del quartier generale sull’Aurelia. Il tempo della compassata moderazione è finito, un po’ lo si era già capito con gli ultimi discorsi del cardinale presidente, Gualtiero Bassetti, e con le parole del Papa che all’Angelus chiedeva di fare qualcosa per salvare i migranti lasciati al largo di Malta per giorni. Una discesa in campo, insomma, che però presenta anche il rovescio della medaglia: se i vescovi tornano a fare politica – a farla per davvero, non solo in via teorica, con dotte citazioni di La Pira, Sturzo e qualche enciclica papale – si aprono scenari interessanti che innanzitutto sveleranno come la Conferenza episcopale italiana sia ben lungi dall’essere un monolite guidato da un’unica linea. Qualche assaggio lo si è avuto in questi giorni, con il vescovo di Trieste, Giampaolo Crepaldi, il quale sulla Verità diceva che “può darsi che il fenomeno delle migrazioni di fatto continui, ma nessuno può dire che sia di per sé un bene”. E poi, “la dottrina sociale della chiesa dice che esiste prima di tutto un diritto a non emigrare e a rimanere nella propria nazione e presso il proprio popolo. Del resto, si sa che dietro la marea migratoria si celano molti interessi anche geopolitici. Le migrazioni quindi non sono un bene in sé. Dipende se servono il bene dell’uomo o no”. Ancora prima era stato Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara a dire che l’appello all’obiezione di coscienza dei sindaci contro il decreto Sicurezza è insensato: “Quei sindaci che usano dell’obiezione di coscienza – volutamente come strumento politico – nei confronti di legittimi interventi di autorità superiori o pari, abusano del concetto”, chiariva alla Stampa. Dall’altra parte della barricata, la teoria di vescovi che invece sposavano l’obiezione (Angelo Bagnasco su tutti) e che in interviste, commenti e pillole quotidiane distillavano critiche chiare alla linea governativa. Fino ad arrivare a mons. Gastone Simoni che spiegava di essere pronto a mettere in campo un partito di cattolici, onorando come meglio non si potrebbe l’appello ai liberi e forti di don Sturzo.
Si torna in campo (e in forze) dopo la decantazione post ruiniana, con il Papa che fin dal primo giorno di pontificato ha detto che non si sarebbe immischiato nelle beghe politiche locali – “è compito vostro” – e con una Conferenza episcopale divisa al suo interno e non del tutto incline, come s’è visto, a sposare la linea del muro contro muro con il governo, e non soltanto al nord dove più d’un vescovo è in buoni rapporti con la Lega. Finora il cardinale Bassetti, tra un appello alla buona politica e a non dividersi sui poveri, è riuscito a tenere unite le due anime della Cei, quella più conservatrice e quella nuova – con qualche esponente del passato rigenerato negli ultimi tempi – che genericamente si rifà alla massima del pastore con l’odore delle pecore. Se però lo scontro politico si acuirà con il passare delle settimane e la convivenza tra i “vescovoni” e il duo gialloverde diverrà insostenibile, è arduo pensare che le invocazioni a La Pira e Sturzo potranno bastare a mutare il panorama.