Anche le messe senza popolo hanno un senso
Polemiche scontate, ma è un’occasione per essere cristiani migliori
La Conferenza episcopale italiana ha confermato, seppure con dolore, quanto si era già capito dal decreto notturno varato dal governo tra sabato e domenica: le messe sono sospese in tutta Italia fino al 3 aprile. Nessuna eccezione è ammessa: evitare lo scambio della pace e la comunione in bocca non sono misure sufficienti. Le messe saranno riaperte al popolo, forse – dipende dall’evoluzione dell’epidemia – per la domenica delle Palme, una settimana prima di Pasqua. I brontolii sono arrivati puntuali, soprattutto via social, tra chi rimpiange i tempi dei cardinali Borromeo e delle loro processioni durante le pestilenze e chi grida allo scandalo dicendo che le messe devono farsi comunque, anche a costo di far aumentare il contagio. Discussione nobile, intellettuale, ma con poco senso. Per carità: è vero che qualche perplessità sia legittima dinanzi al fatto che le messe sono vietate al pubblico – spesso in luoghi molto ampi – mentre i centri commerciali sono invece lasciati aperti (tranne il sabato e la domenica), con la palese difficoltà di mantenere la distanza di un metro tra le persone. E però non si può fare un dramma se alla messa non ci si può andare, date le condizioni. L’attuale situazione può, anzi, essere un’opportunità in cui sentire e meditare sulla mancanza di qualcosa a cui si tiene davvero, come parecchi vescovi hanno sottolineato in questi giorni. E’ una grande opportunità – per chi ci crede, ça va sans dire – di tornare all’essenziale e di apprezzare ciò che manca. Di capire che la messa non è una routine da incastrare fra la colazione al bar e la gita in collina. E’ una bella idea quella avuta dal Papa di far trasmettere ogni giorno dai canali vaticani la sua messa mattutina celebrata a Santa Marta: trenta minuti (omelia compresa), inno supremo all’essenziale che acquista ancora più valore in tempo di quaresima. Senza tanti strilli, polemiche o urla all’apocalisse imminente.