Editoriali
Il populismo finanziario del Vaticano
Niente regali da 40 euro ai cardinali. Motivo? Combattere la corruzione
Il Papa ha firmato un nuovo motu proprio – l’ennesimo – sulla “trasparenza e la gestione della finanza pubblica”, un “giro di vite” (così annuncia solenne Vatican News, portale ufficiale d’oltretevere) in cui si ordina che i dirigenti e gli amministrativi dichiarino sotto giuramento di non avere condanne o indagini per terrorismo, riciclaggio, evasione fiscale. Non potranno avere beni nei cosiddetti paradisi fiscali né investire in aziende che operano contro la dottrina della Chiesa (il che è sacrosanto benché non sempre applicato come principio). Tutto nella norma, insomma, la lustracija di Francesco è in piedi dal 2013, la pulizia era una richiesta dei cardinali riuniti nelle congregazioni del pre Conclave, e nonostante parecchie defaillance e intoppi, licenziamenti, estromissioni e perfino arresti, la strada pare segnata verso la trasformazione dei Sacri palazzi in ambienti di cristallo che tutto rendono visibile all’esterno.
Il problema è che il documento papale, proprio alla fine e sul più bello, cede al più bieco populismo, quando stabilisce che – naturalmente per combattere la corruzione – a tutti i dipendenti della Curia romana, dello stato della Città del Vaticano e degli enti collegati (cardinali compresi) sarà vietato accettare “regali o altre utilità” di valore superiore a quaranta euro. Non quarantamila, ma quaranta, dieci in più di quelli presi da Giuda il traditore sommo. Si è passati dai propositi di chiudere lo Ior al motu proprio che vieta a un cardinale di ricevere un caricabatteria Apple da 55 euro (che sfora già il tetto massimo previsto). Si rasenta, come è evidente, il senso del ridicolo, mentre il comitato Moneyval, a Strasburgo, analizza il rapporto (è il quinto) sui progressi fatti (o no) dalla Santa Sede in materia di trasparenza finanziaria. Chissà che non si inteneriscano, con la storia dei quaranta euro.