Non si cercava la verità, solo lo scalpo del vecchio Papa

Le reazioni alla lettera di Benedetto XVI dimostrano che l'obiettivo è la sua capitolazione

Matteo Matzuzzi

Psicologi modani che danno lezioni al Papa, vescovi che pretendono scuse pubbliche. La campagna contro Ratzinger è ben organizzata. C'è tutto, manca solo la fede

Le reazioni alla lettera di Benedetto XVI in cui rispondeva alle accuse mossegli nel Rapporto sugli abusi da parte di chierici nella diocesi di Monaco e Frisinga (quattro casi di presunte coperture tra il 1977 e il 1982, quando Ratzinger era lì arcivescovo) rivelano molto sulla campagna che da qualche tempo è in atto nei confronti del Papa emerito. A essergli imputata, scrive Repubblica, è “la scelta di redigere un testo spiritualizzante, in un quadro escatologico sulle soglie dell’ultimo miglio della sua lunga e intensa esistenza”. Un testo che “non ha colpito positivamente quel mondo tedesco che chiedeva sì delle scuse ma ben circostanziate, punto per punto”. E si citano le richieste del cardinale Reinhard Marx – che “ha portato il Papa emerito a uscire allo scoperto” –, capofila degli indignati nonostante pure lui sia citato (e non per fatti di quarant’anni fa) nel rapporto bavarese. Al gesuita tedesco Hans Zollner, psicologo definito uno “dei maggiori esperti mondiali nel campo della salvaguardia e della prevenzione degli abusi sessuali”, l’escatologia non interessa: “Chiedete alle vittime se della lettera di Ratzinger sono contente oppure no”, salvo ricordare tra parentesi l’ovvio, ossia che uno psicologo dell’Università Gregoriana non è, fino a prova contraria, “il giudice del Papa emerito”.

 

Benedetto XVI è uno dei maggiori teologi viventi e sarebbe apparso strano che un suo testo non contenesse rimandi spirituali a brani evangelici. L’ha sempre fatto, è sufficiente rileggere qualche suo libro o quantomeno qualche sua omelia. L’unica giustificazione è che in un’epoca in cui sui media del settore si parla poco di destini ultimi e molto di umanitarismo, tra analisi sociologiche sulle suore sfruttate dai chierici maschi e severe intemerate contro gli oppositori al pontificato di Francesco che vogliono la messa in latino, leggere qualcuno che parla di giudice ultimo, Monte degli Ulivi e discepoli addormentati lascia straniti e disorientati. A ogni modo, il testo ratzingeriano toglie il velo a tante ipocrisie e ambiguità: non si cercava chiarezza né la disponibilità a confutare le accuse contenute nel vasto rapporto indipendente bavarese. Si voleva la capitolazione, magari pubblica, del Papa emerito. Le scuse, appunto, con il capo cosparso di una cenere poco metaforica. Scuse chieste solennemente, in tv, dal vescovo di Limburgo e presidente della Conferenza episcopale pro tempore, mons. Georg Bätzing e dalla grande maggioranza dei presuli tedeschi. Non si puntava a far luce sui fatti oscuri del passato, bensì a ottenere lo scalpo del vecchio Papa percepito come un ostacolo insormontabile alla campagna di aggiornamento sinodale in corso in Germania, dove tutto è pronto per avanzare a Roma le richieste – si vedrà quanto ultimative – di diluizione dottrinale e pastorale nel vivace spirito del mondo. A suo modo, è una questione di marketing. L’abbé Pierre-Hervé Grosjean, giovane parroco nella Francia secolarizzata che vive l’essere minoranza quotidianamente, ha scritto che “la lettera di Benedetto XVI è molto commovente da leggere. Parole di un Papa, di un cristiano, di un uomo nel crepuscolo della sua vita. La storia racconterà tutto ciò che dobbiamo a questo Papa, umile e mite fino alla fine, e soprattutto cooperatore della verità, come ha dimostrato”. 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.