editoriali
Le scuse affrettate del Papa in Canada
Fosse comuni di bambini indigeni? Niente prove, ma arriva il mea culpa
Lo scopo principale del viaggio del Papa in Canada è di fare penitenza, ossia di scusarsi – a nome della Chiesa cattolica – per tutto il male fatto nei secoli alle popolazioni indigene. I ripetuti tentativi di colonizzazione, addirittura il genocidio culturale compiuto dai cattolici nei confronti di chi, in quelle terre sterminate c’era già prima. In questi giorni, tra Edmonton e Québec, Francesco di mea culpa ne ha fatti parecchi. Dopotutto il terreno era fertile, fin da quando, un anno fa, un’antropologa teorizzò che accanto all’ex scuola di Kamloops, ovviamente cattolica, si trovasse una fossa comune. Bastò questo (e nessuno scavo) perché i media di mezzo mondo arrivassero a dire che “centinaia di bambini” erano stati “uccisi” e lì sepolti. E chissà quante altre fosse comuni, ovviamente ricolme dei resti di bambini indigeni che la Chiesa voleva assimilare, si trovano in Canada.
Peccato che, calata l’attenzione sul fatto e sopita l’emozione, neanche un osso sia stato trovato lì dove l’antropologa aveva ipotizzato. Ci sono solo cimiteri, come dappertutto. Cimiteri in cui venivano sepolti gli studenti delle scuole, i missionari, gli abitanti locali. Nessun omicidio, nessuna traccia. Di prove del genocidio culturale non ve n’è manco una. Non solo: la Commission de vérité et réconciliation, istituita nel 2008 per indagare gli abusi nelle scuole che ospitavano gli indigeni, dopo anni di lavoro e studio ha appurato che il tasso di mortalità nei giovani frequentanti era pari a quattro decessi all’anno ogni mille. La causa principale, la tubercolosi.
Parlare di genocidio, sia esso fisico o culturale, impone prima di tutto grande prudenza. La stessa che si è usata per definire lo sterminio degli armeni o, per fare un esempio dei nostri giorni, l’annientamento dell’identità ucraina da parte russa. Prudenza doppia se mancano le prove e se a denunciarlo, in prima istanza, è chi ha come obiettivo quello di assestare un colpo alla Chiesa cattolica. In fin dei conti, gli unici “martiri canadesi” accertati e riconosciuti, sono gli otto missionari gesuiti canonizzati da Pio XI nel 1930.
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