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Il Papa si fa strumentalizzare dall'Iran
Teheran sbandiera improbabili intese con la Santa sede sul “regime sionista usurpatore”. Vale la pena insistere su questi colloqui?
Dopo il massacro perpetrato da Hamas nei kibbutz israeliani, il Papa ha sentito al telefono il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, quello iraniano Ebrahim Raisi, il presidente dell’Anp Abu Mazen e Joe Biden. La Sala stampa vaticana ha precisato che le conversazioni con Erdogan e Raisi sono state chieste da questi ultimi – tradotto: non è il Papa che va a cercare la mediazione dei due leader. La presidenza iraniana ha diffuso un comunicato in cui si dà conto di quanto discusso e se le due Parti si sono trovate concordi sull’auspicare il rispetto per le vite civili, il resto è problematico. Perché è un concentrato del più tipico antisemitismo iraniano: “Papa Francesco, il leader dei cattolici del mondo, pur apprezzando le posizioni del dottor Raisi nel sostenere il popolo oppresso della Palestina, ha sottolineato la necessità di cercare di fermare gli attacchi a Gaza”, si legge. E il popolo in questione sarebbe oppresso dal “regime sionista usurpatore” che si è macchiato di “crimini terribili e senza precedenti”.
Stando al comunicato ufficiale, Raisi avrebbe elencato al Papa tutte le malefatte israeliane, esempi delle “pratiche di apartheid non solo contro i musulmani palestinesi ma anche contro altre religioni divine, che vengono effettuati con il sostegno degli americani e di diversi paesi europei”. E, secondo Teheran, Francesco avrebbe concordato. Il che non fa che complicare ulteriormente i già tesi rapporti con il mondo ebraico, che neppure una settimana fa ha visto il presidente Herzog chiedere al Papa di prendere una posizione chiara in merito ai fatti del 7 ottobre. Il rischio è che Francesco (e ciò che rappresenta) sia strumentalizzato da autorità che ben poco hanno a che fare con il rispetto della democrazia e dei diritti umani, finendo per essere annoverato tra i sostenitori della causa di Hamas, che Erdogan definisce “movimento di liberazione”. Ne vale la pena?
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