Il paradigma vegano
Dire di mangiare solo vegetali non è garanzia di affidabilità per un politico
Anche il giovane candidato improvvisato alla premiership per il 5 stelle, Gianmarco Novi, ha fatto vanto di essere un “fruttariano”, avanzando questa preferenza alimentare (mangiare solo frutta) per attestare la sua volontà di cambiare il mondo sfidando Luigi Di Maio. Anche il capo dei laburisti inglesi, Jeremy Corbyn, aveva detto che stava “preparandosi” a diventare vegano a sottolineare che il suo “progressismo” è al passo con le mode. È evidente la volontà di sintonizzarsi con le preferenze di una fetta di elettorato etico che gradisce i vegetali e vuole bandire dalla propria dieta carne o alimenti di origine animale. Anche le grandi multinazionali del cibo si stanno adattando alla domanda di prodotti considerati più salutari, “vegan” o “bio” sono un must sell. Tuttavia è lecito chiedersi se una scelta individuale e perciò da rispettare – il rispetto dovrebbe valere anche per i carnivori – sia spendibile politicamente. Insomma un leader di partito erbivoro è diverso da un leader di partito carnivoro? Ebbene qualche dubbio può sorgere a sfavore di chi dice di professare il veganesimo riguardo alla capacità di mantenere salde le proprie convinzioni se viene messo alla prova. James Hansen, analista americano, nella sua newsletter “Nota Diplomatica” cita una ricerca dei nutrizionisti americani Ella Haddad e Jay Tanzman secondo la quale su 13 mila vegetariani “dichiarati” 2 su 3 hanno ammesso di avere consumato carne entro le precedenti 24 ore. Un altro studio specificamente sui vegani dimostra che il 70 per cento torna poi alle abitudini carnivore – meglio dei vegetariani semplici che cedono all’86 per cento. I sondaggi valgono quello che valgono. Ma ci aiutano a confermare un’idea: meglio diffidare da chi trasforma il veganesimo in una nuova religione.
Antisemitismo e fornelli