Gli italiani lo preferiscono “senza”. Il cibo
Secondo l'Osservatorio Immagino Nielsen nell'ultimo anno il “free from” ha generato oltre 6,5 miliardi di vendite in supermercati e ipermercati crescendo del 3,1 per cento. Molto di moda i prodotti “senza olio di palma” e “senza sale”
Volevate un mondo più libero? Eccovelo servito. In tavola. E non c'entra la possibilità di poter mangiare bere e ciò che vogliamo. Il “cibo libero” che nell'ultimo anno ha visto crescere notevolmente il proprio consumo tra gli italiani è, in realtà, un “cibo senza”. Senza conservanti, senza grassi, senza zuccheri, senza sale, senza l'odiatissimo olio di palma. Un cibo, verrebbe da dire, “senza gioia”.
A fornire i dati di questa nuova tendenza alimentare è l'osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy che, nella seconda edizione del suo rapporto, ha monitorato oltre 46 mila prodotti. Ebbene nell'anno terminato a giugno del 2017, complice anche “il salutismo dilagante”, il mondo del “cibo senza” ha generato circa 6,5 miliardi di euro di vendita, crescendo del 3,1 per cento e arrivando al 18,4 per cento dei prodotti monitorati dall'osservatorio.
Dovendo stilare una classifica al primo posto restano saldi i cibi etichettati come “senza conservanti” (7,7 per cento) anche se il loro consumo ha subito una flessione dell'1 per cento. Seguono i “pochi grassi" (4,9 per cento) e i “senza coloranti” (3,8 per cento). Anche questi, però, hanno fatto registrare un calo dei consumi.
Crescono, al contrario, i cibi legati alle mode del momento. Su tutti i “senza olio di palma” (+17,6 per cento), i “senza zuccheri aggiunti” (+6,1 per cento) e i “senza sale (o a ridotto contenuto di)” (+7,2 per cento). Certo l'incidenza delle vendite di questi prodotti sul paniere dell'osservatorio è ancora bassa, ma il trend è più che evidente. Non fosse altro che allo stesso tempo, l'assenza di un interesse reale per i cibi “senza ogm” ha prodotto, per questa categoria, un calo del 6,6 per cento.
Insomma, ormai dobbiamo rassegnarci, il mondo del futuro sarà un mondo “senza”. Speriamo solo non sia “senza cibo”.
Antisemitismo e fornelli