Niente più iPad, domenica si vota

Redazione

Cosa sta per succedere a Taiwan

di Andrea Pira

    I lavoratori taiwanesi della Foxconn impiegati in Cina avranno una settimana in più da passare a casa, per trascorrere in famiglia il capodanno cinese e soprattutto recarsi ai seggi per le presidenziali fissate per domenica. La decisione è dello stesso Terry Gou, patron della multinazionale dell'elettronica – nota per assemblare i prodotti Apple e per l'alto tasso di suicidi tra i dipendenti –, apertamente sostenitore dell'attuale presidente Ma Ying-jeou in corsa per un seconda mandato di quattro anni.

    Come sottolineato da Robin Kwong sul Financial Times, su un milione di dipendenti Foxconn soltanto qualche migliaio viene da Taiwan. Un numero di voti minimo in un corpo elettorale di 17 milioni di elettori, con tuttavia un forte valore politico. Gou e con lui molti altri imprenditori dell'isola sostengono il governo uscente e la politica di riavvicinamento alla Cina, sancita dall'accordo di cooperazione economica (Ecfa) siglato a luglio del 2010, punto più alto delle relazioni tra le due sponde dello Stretto dopo la fuga dei nazionalisti dal continente nel 1949 e la vittoria nella guerra civile dei comunisti di Mao Zedong. Sono tuttavia in pochi a pensare che in caso di vittoria la candidata dell'opposizione democratica, Tsai Ing-wen, tagli i rinnovati rapporti con Pechino sposando totalmente la linea anticinese del suo partito. Finora ha chiesto di negoziare bilateralmente un cosiddetto “consenso di Taiwan” che sostituisca il Consenso del 1992 raggiunto dal governo cinese e dai nazionalisti, ossia la formula che sancisce l'esistenza di un'unica Cina lasciando però la definizione aperta a seconda che a interpretarla sia Pechino o Taipei.

    D'altra parte nel 2010 il pil taiwanese è cresciuto del 10,5 per cento grazie agli scambi con il continente. Nel frattempo sono cresciute anche le disuguaglianze. Il reddito del 20 per cento più ricco della popolazione è sei volte superiore a quello del 20 per cento più povero. Un divario che i detrattori di Ma imputano proprio all'accordo con il governo cinese che favorirebbe soltanto i ricchi. “Gli affari hanno bisogno di stabilità”, diceva Gou lo scorso dicembre e magari, sottolineato alcuni commentatori spera che alle urne i suoi dipendenti decidano di votare per il partito nazionalista.

    di Andrea Pira
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