Ci sono tante cose che non sappiamo del coronavirus e di questa epidemia. Ed è naturale che si facciano tanti studi, analisi e sperimentazioni per capirne di più: perché la letalità del Covid-19 cambia in base all’età e al genere? Perché si è diffuso in alcune zone anziché in altre e in modalità diverse? Perché i dati italiani, e di alcune regioni in particolare, sono al momento diversi rispetto ad altri paesi? Quali sono le cure che funzionano meglio? Siccome l’incertezza è tanta è necessario che quando si diffondono delle spiegazioni, ci siano dietro ipotesi solide ed evidenze robuste. Altrimenti non si fa chiarezza, ma solo confusione, rumore e quindi disinformazione. Tutte cose che ora non servono. Vale quando leggiamo della scoperta di “terapie” contro i sintomi della malattia sulla base di farmaci, mentre si tratta di sperimentazioni promettenti che però al momento sono tutte da verificare. Vale quando c’è chi addirittura annuncia in prima pagina che è stata “trovata la cura che batte il virus” e che sarebbe disponibile entro un mese. Balle. Sulla scorta di questa ansia da annuncio di scoperta, la Società italiana di medicina ambientale (Sima), insieme all’Università di Bologna e all’Università di Bari, ha pubblicato uno studio secondo cui la diffusione del virus nella popolazione del nord Italia sarebbe causata dall’inquinamento.
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