l'anniversario
Ventinove anni fa la strage di via D'Amelio
Il 19 luglio 1992 a Palermo Cosa Nostra uccise Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Letture foglianti per ricordare e orientarsi
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Paolo Borsellino (foto LaPresse)
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(foto Ansa)
Esattamente ventinove anni anni fa in via D'Amelio, a Palermo, un attentato ordito da Cosa Nostra uccise il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Fu una delle più grandi stragi mafiose, nello stesso anno in cui Cosa Nostra uccise anche il giudice Giovanni Falcone (il 23 maggio sull'autostrada tra Palermo e Capaci). Come ogni anno a Palermo si commemora Borsellino e gli altri uomini dello stato che persero la vita per mano della mafia. "La memoria di quella strage, che ha segnato così profondamente la storia repubblicana, suscita tuttora una immutata commozione, e insieme rinnova la consapevolezza della necessità dell’impegno comune per sradicare le mafie, per contrastare l’illegalità, per spezzare connivenze e complicità che favoriscono la presenza criminale", ha scritto in una nota il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il cui fratello maggiore Piersanti, ex presidente della Regione Sicilia, fu anch'egli assassinato da Cosa Nostra nel 1980. "Le immagini dell'attentato di via d'Amelio resteranno per sempre impresse nei nostri occhi, e costituiscono una ferita ancora aperta, una delle pagine più buie della nostra storia nazionale", è stato invece il commento del presidente del Parlamento europeo David Sassoli, che ieri ha preso parte all'evento "Il tempo che verrà. Tra memoria e futuro".
Strage di via D'Amelio: la falsa narrazione sulla mafia e la trattativa smontata dai processi
Parlando della strage il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha detto di provare "indignazione per i troppi depistaggi di Stato". E in effetti la strage di via D'Amelio è servita anche a rinfocolare tutto un repertorio che vede la morte di Borsellino e Falcone iscritte a quel filone investigativo chiamato "trattativa stato-mafia". Teoremi spesso smontati dal lavoro delle stesse procure siciliane, che hanno sì accertato in via giudiziale un lavoro di depistaggio (a causa dell'eccessivo credito dato a un "pataccaro" come il pentito Vincenzo Scarantino da parte di un manipolo di poliziotti), ma anche marginalizzato l'ipotesi della trattativa. Ultimamente si era iscritto al registro delle fonti delle verità occulte il collaboratore di giustizia Maurizio Avola, che ha raccontato a Michele Santoro di aver piazzato con le sue mani la fiat 126 fatta esplodere sotto all'abitazione della madre e della sorella del magistrato. Solo che per la stessa Procura di Caltanissetta D'Avola non è né attendibile né credibile.
Ripescaggi dall'archivio del Foglio