editoriali
La Memoria viva dell'Europa
Il Giorno della memoria pone di fronte a un bivio tutti, non solo gli ebrei
Di cosa parliamo quando parliamo di antisemitismo in Europa? Prendiamo la Svezia. Gli episodi antisemiti hanno rappresentato il 27 per cento di tutti i crimini di odio religioso nel 2020 in Svezia, dove gli ebrei costituiscono lo 0,1 per cento della popolazione. Il Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità pubblica ogni due anni un rapporto sui crimini ispirati dall’odio. Questi sono i nuovi risultati. Possono essere proiettati ovunque in tutta Europa. Parliamo di una minuscola comunità che, tuttavia, è oggetto di gran parte dei crimini di natura religiosa e ideologica.
Giovedì si è celebrato il Giorno della memoria ma bisognerebbe evitare che diventi retorica di pubblica e vuota pietà, una memoria universale politicizzabile a fini antiebraici di cui sempre più consistenti gruppi militanti di minoranza si appropriano a fini politici, per farne una storia senza più peso morale. Piuttosto si deve fare di questa giornata un momento di azione e riflessione sulle minacce agli ebrei d’Europa. Da una parte, la mai sopita recrudescenza antisemita di destra, dall’altra, il militantismo di estrema sinistra. Sullo sfondo, sempre più ampio, il fondamentalismo islamico.
Ieri, nel 77esimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, “per ricordare i milioni di donne, uomini e bambini ebrei e tutte le altre vittime uccise dal regime nazista”, la Commissione Ue, per la prima volta, ha illuminato il suo quartier generale, Palazzo Berlaymont, con #WeRemember, aderendo a un progetto globale del World Jewish Congress in memoria delle vittime della Shoah.
Ursula von der Leyen ha dichiarato: “L’Olocausto è stato un disastro europeo. L’antisemitismo ha portato a questo disastro. Il cuore della nostra azione è garantire che gli ebrei in tutta Europa possano vivere la loro vita in conformità con le loro tradizioni religiose e culturali. Perché l’Europa può prosperare solo quando prosperano anche le sue comunità ebraiche. Perché la vita ebraica è parte integrante della storia dell’Europa e del futuro dell’Europa”. Parole sacrosante, perché la realtà indica un pericolo reale. Joël Rubinfeld, presidente della Ligue belge contre l’antisémitisme, è allarmato e dice a Paris Match che “ci sono buone possibilità, entro 20 anni, di finire con un Belgio judenrein”. Dalla Seine-Saint-Denis, l’80 per cento degli ebrei se ne è andato. E vittima principale di questa operazione è stato proprio lo stato d’Israele. Mai quanto oggi la memoria è disseminata, eppure mai quanto oggi l’Olocausto viene usato contro l’eredità vivente dei sei milioni, il piccolo stato ebraico sotto assedio. Sotto l’assedio della delegittimazione ideologica e morale da parte di gruppi minoritari forti in ambito accademico e culturale, e sotto l’assedio pre nucleare della Repubblica islamica dell’Iran.
Siamo dunque al bivio già indicato da Jonathan Sacks, ex rabbino capo del Regno Unito e uno dei grandi maestri dell’ebraismo. Il primo scenario, il più cupo, vede gli ebrei in fuga dall’Europa perché è diventato così pericoloso indossare segni di ebraicità o esprimere sostegno a Israele in pubblico che gli ebrei hanno deciso di andarsene. In questo scenario, a cento anni dall’Olocausto, l’Europa è judenrein. In Israele, una popolazione assediata si aggrappa alla vita. L’Iran, avendo vinto il suo confronto con l’occidente, ha accerchiato Israele con gruppi terroristici armati fino ai denti e il suo arsenale nucleare è una minaccia serissima. Molti israeliani se ne sono andati sapendo di poter trovare arance e sole anche in Florida e in California. Non puoi allevare i bambini all’ombra della paura. Poi, invece, c’è l’altro scenario tratteggiato da Sacks, quello ottimistico. Gli ebrei in Europa stanno prosperando. Gli europei si sono finalmente resi conto che l’antisemitismo non minaccia soltanto gli ebrei, ma la loro stessa libertà. Hanno agito e ora gli ebrei si sentono al sicuro. Israele, nel frattempo, avendo stretto alleanze strategiche con tutti i paesi arabi, ha isolato l’Iran e l’islamismo apocalittico, trovando in medio oriente la propria accettazione de facto, se non la legittimità de iure.
Eccolo, il grande bivio esistenziale cui si trova di fronte non soltanto l’ebraismo, ma anche l’Europa.