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Editoriali

Il suicidio della studentessa dello Iulm e la colpa che è sempre del sistema

Redazione

Il gesto della giovane donna di 19 anni rimane una tragedia, qualunque sia la motivazione prevalente. Sono inaccettabili invece i commenti pavloviani che incolpano sempre il sistema di studi basato sul merito e sulla competizione

Lo scorso mercoledì mattina una giovane donna di 19 anni, studentessa dello Iulm di Milano, è stata trovata morta, suicida, in un bagno dell’ateneo. Dalle scarne cronache si è appreso che la giovane ha lasciato una lettera in cui spiega il suo gesto con il senso di fallimento della sua vita, sia personale sia nel percorso di studi. Una tragedia, qualunque sia la motivazione prevalente. Come ha ben scritto il rettore in una lettera destinata a tutta la comunità dell’ateneo, “c’è un mistero, in un gesto così, c’è una ferita, c’è un dolore così grande, che chiedono solo di essere ascoltati, con rispetto”. Da tre giorni si assiste però anche a una torsione interpretativa di una tragedia che è appunto anche “mistero” che finisce per essere persino poco rispettosa di quella giovane donna che non c’è più. È il tentativo, e passi l’attenuante della buona fede e della compassione, di “sociologizzare” quel fatto.

 

Si è letto il commento pavloviano che incolpa il sistema di studi basato sul merito e la competizione. Ma anche una giornalista di grande sensibilità come Concita De Gregorio ha invitato ieri, su Repubblica, a chiedersi “cosa è successo fin qui perché una ragazza, un ragazzo senta di ‘aver fallito’ a diciannove anni”. E poi la domanda, con verdetto incorporato: “Cosa abbiamo fatto del mondo in cui viviamo perché sia diventato un luogo così inospitale, sordo e feroce”. Non abbiamo fatto nulla per rendere il mondo più inospitale di quanto lo sia in natura. Il capostipite dei nostri suicidi letterari, Jacopo Ortis, scrisse: “La vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure”. E la società liberista e la meritocrazia tossica non c’erano ancora. Il suo maestro Werther si suicidò per un motivo anche più banale e sanremese. Sono migliaia i tragici motivi per togliersi la vita, soprattutto se si è giovani. Sociologizzare è mancanza di realismo. È una postura che ottiene invece di indebolire, colpevolizzare, abbandonare a un senso di ineluttabilità. Molto più serio, umano, Lodo Guenzi, in un commento postato: “E no, a 19 anni non hai fallito niente”.

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