Editoriali
Il vuoto del pacifismo per cui "una pace ingiusta è meglio di una guerra giusta"
Un anno di invocazioni che non hanno prodotto strategie diplomatiche reali. La marcia Perugia-Assisi è diventato un contenitore ideologico a senso unico. E in tutte le posizioni pacifiste resta un'ambiguità: sono contro la violenza o dalla parte dell'invasore?
Nessuno potrebbe mai augurarsi una guerra senza fine, a parte il macellaio Putin. Zelensky e il suo popolo vogliono, semplicemente, che la guerra “non finisca” con la loro sconfitta e la morte del loro paese: è una cosa diversa. Ma su questa diversità, che dovrebbe essere chiara, molto del pensiero variamente pacifista, o più cinicamente “né-né”, ha costruito e continua a edificare una “narrazione” politica che mette sullo stesso piano aggressore e aggredito, anzi torna persino più comodo accusare le vittime, e i paesi che le stanno aiutando, di essere i veri guerrafondai.
Ma per portare avanti convincenti (e realistiche) strategie di pace – o almeno di sospensione del conflitto armato – occorre innanzitutto riconoscere la natura di questa guerra. Luigi Manconi, sulla Stampa, ha indicato in questo limite il problema di una “sinistra incapace di immaginare la pace”. Nell’altro corno dell’universo pacifista, quello cattolico, i problemi non sono diversi. È partita la scorsa notte la Marcia per la pace Perugia-Assisi. Che da storico appuntamento ad alta tensione morale e profetica s’è fatta quest’anno un contenitore più ideologico a senso unico.
Non basta dire che “il pericolo sta crescendo”, e ripetere le parole del Papa (notoriamente senza divisioni) quando dice: “È un conflitto assurdo e crudele. È stato fatto tutto il possibile per fermarlo? Chi ha l’autorità si impegni per la pace”. La condizione per la pace è il riconoscimento della verità e la possibilità di ristabilire un ordine giusto. C’è ovviamente una parte del mondo pacifista, cattolico o laico, che questa regola d’ingaggio ha compreso. Ma ancora si sentono purtroppo esponenti del fronte pacifista fare affermazioni come questa: “Una pace ingiusta è meglio che una guerra giusta”. E questo non è pacifismo, è mettersi dalla parte di chi compie violenza. Sarà anche per questa irrisolta ambiguità – dove un irenismo religioso un po’ ingenuo incontra un sottile antioccidentalismo che ingenuo invece non è – che, dopo un anno di guerra, le piazze pacifiste non hanno creato nulla?