editoriali
La nuova indagine sul delitto Piersanti Mattarella e la sentenza sulla strage di Bologna: niente doppio Stato
Non c'è nulla che leghi le due vicende. Ma i nuovi pronunciamenti sono una buona notizia per chi non segue le teorie complottiste del "deep state" e quant'altro
Lunedì 6 gennaio a Palermo e a Castellammare del Golfo, dove era nato, è stato ricordato e onorato Piersanti Mattarella, il presidente della Regione Sicilia assassinato in un agguato di mafia 45 anni fa, il 6 gennaio 1980. Ricordo doveroso e necessario, per una personalità politica di primo piano vittima di un attentato destinato a incidere nella vicenda non solo siciliana ma nazionale. Nei giorni precedenti Repubblica ha rivelato il contenuto di una nuova inchiesta, in corso da anni, che avrebbe portato a individuare gli autori materiali dell’omicidio, i mafiosi Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese. Finora per l’omicidio del fratello del presidente della Repubblica erano stati condannati i mandanti – Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci – ma nessun esecutore materiale. Una notizia positiva anche questa.
Ieri sono state rese note le motivazioni con cui la Corte di assise d’appello di Bologna ha confermato l’ergastolo per l’ex esponente di Avanguardia nazionale, Paolo Bellini, condannato in primo grado nel 2022 nel quinto processo relativo alla strage come responsabile di avere posto la bomba alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. Bellini fu la persona che “senza ombra di dubbio” collocò l’ordigno. Anche questa è una notizia positiva, per la giustizia italiana e per tutto il paese.
Che cosa lega l’omicidio Mattarella e la strage di Bologna? Nulla, dal punto di vista della verità processuale e anche della verità storica, per quanto sia raggiungibile, almeno quando la “storia” non gioca a farsi storytelling, a seguire teorie complottiste del “deep state” e quant’altro. Anche questa, dopo decenni di dietrologie, è una notizia positiva. Che il delitto Mattarella e Bologna non siano legati da fili occulti è il miglior modo per celebrare senza ombre la memoria del politico democristiano e la giustizia fatta per la strage.
L’accostamento tra i due fatti tragici di 45 anni fa non è capzioso. Nelle lunghe e complesse indagini sull’attentato di Palermo furono indagati due terroristi neri di primo piano, Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, condannati in via definitiva per la strage di Bologna, sospettati di essere gli autori materiali dell’omicidio su ordine della mafia. Una ipotesi su cui lavorò anche Giovanni Falcone, per poi scartarla. Fioravanti e Cavallini sono stati prosciolti in via definitiva per quel delitto. Ciò nonostante la “pista” del terrorismo nero – tramite la P2 di Licio Gelli – ha continuato a circolare e a essere sostenuta in molti contesti giornalistici e storico-politici insistendo sul collegamento, mai provato, tra i vari “settori” dell’eversione (e nonostante Falcone avesse confermato la “matrice mafiosa nel delitto Mattarella”). Fra le narrazioni più strabilianti – essendo redatta da giudici – c’è quella contenuta nelle motivazioni della sentenza di primo grado del processo Bellini. In esse molto ci si dilunga sui presunti fili neri dell’eversione di quegli anni. Anche a costo di dover autoprecisare: “Come non ricordare, anche se i processi si sono conclusi con sentenze assolutorie, i delitti Pecorelli e Mattarella… per i quali diverse testimonianze hanno indicato tra i responsabili Fioravanti e Carminati (peraltro assolti)”. Peraltro. Si abbonda in “ricostruzioni” per sostenere il racconto del disegno eversivo, per poi dover ammettere che “in definitiva il proscioglimento dei due Nar” nasce dal fatto “che quegli stessi collaboratori sono stati smentiti in relazione alle accuse ad Andreotti per l’omicidio Pecorelli”. Eppure, per i giudici, “al di là dell’assoluzione, è corretto recuperare in questo processo gli elementi (plurimi e gravi) che esistevano a carico degli imputati”. E le sentenze di assoluzione se ne facciano una ragione. Lo storytelling da “doppiofondo di Stato” fa da trama anche a “Magma, il delitto perfetto”, un docufilm su Piersanti Mattarella che insiste su questi temi. Che lo faccia una fiction, è legittimo ancorché discutibile. Più discutibile è che l’ex presidente dell’Antimafia Rosy Bindi sostenga, in un’intervista ad Avvenire, che “il film ha il pregio di ricomporre un mosaico unitario, collegando tasselli solo in apparenza sparsi”. Sorvolando sul fatto che le sentenze quei tasselli non li hanno collegati. Che lo facciano ricostruzioni che ambiscono alla storia o addirittura dei magistrati è molto più grave. Fortunatamente le sentenze a volte aiutano a ristabilire la verità sulla nostra tormentata storia.