Orrore a Fermo
L’assassinio di un nigeriano, scampato assieme alla moglie ai massacri di Boko Haram per poi finire ucciso dalla violenza razzista in Italia, suscita orrore. Questo è accaduto nelle Marche, a Fermo, in una pacifica cittadina di provincia, dove ci si aspetterebbe che il clima di civiltà e tolleranza tradizionali non possano lasciar germinare pulsioni criminali di questo genere. Emanuel Chimiary è stato insultato, la sua compagna è stata paragonata a una scimmia, è stata oltraggiata in modo ignobile, e quando lui ha cercato di reagire è stato ammazzato di botte. C’è Boko Haram anche in Italia? Naturalmente non si può mai generalizzare, non sarebbe nemmeno giusto sostenere che in Italia c’è un clima di intolleranza razzista diffuso.
Però ci sono sintomi di una degenerazione che si innesta magari in ambienti la cui violenza finora appariva solo verbale, come le tifoserie degli ultras. Una rissa razzista non è una persecuzione razziale, ma è il sintomo o almeno il segnale di un pericolo, di una incapacità della società di controllare pulsioni violente e discriminatorie. Questa tragedia dovrebbe diventare l’occasione per una riflessione collettiva, che consenta di far capire a tutti che qualsiasi polemica sull’immigrazione non deve comunque superare il limite del rispetto dovuto, sempre, comunque, alla persona umana. Altrimenti che civiltà si pretende di difendere e di proteggere da presunte “invasioni”? Il razzismo nasce da una pretesa di superiorità di alcune etnie su altre, che naturalmente non ha alcun fondamento. Si può casomai vantare il valore di una cultura e di una civiltà, proprio perché è basata sul principio giudeo-cristiano della dignità e della libertà della persona. Un principio incarnato da Emanuel, non certo dal suo o dai suoi ignobili aggressori.
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