Il caso Capua e il metodo Espresso
C’era chi si aspettava delle scuse per il linciaggio mediatico, la reputazione insozzata e la vita rovinata. Ma per chiedere scusa a Ilaria Capua, definita “trafficante di virus” e ricercatrice “senza scrupoli” pronta “ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie”, bisognava dare la notizia della sua completa innocenza. E invece l’Espresso, che due anni fa aveva sbattuto la scienziata in prima pagina (“Trafficanti di virus”, era la copertina), nel suo ultimo numero non trova spazio in 102 pagine per un rigo sul proscioglimento della Capua. Non è successo nulla. Ma per il settimanale nascondere l’assoluzione non è sufficiente, bisogna continuare a sospettare, infangare, insinuare. L’Espresso sul sito (e solo sul sito), per mano dell’autore dell’inchiesta, Lirio Abbate, scrive che la Capua è stata prosciolta “ma le intercettazioni svelano il grande business”. E addirittura la virologa dice parolacce al telefono (scoop!). Forse indossa anche calzini turchesi. Il quotidiano Repubblica, sempre del gruppo editoriale Espresso, con una firma di punta come Carlo Bonini scrive che la Capua è stata assolta per una caterva di reati, ma c’è un’accusa che risulta prescritta. Oibò. Poi Bonini le dà della bugiarda: non è vero, come lei sostiene nelle sue interviste, che non è mai stata sentita dai magistrati, nel 2007 è stata interrogata dal pm Capaldo. Con una manovra a tenaglia l’Espresso rilancia l’accusa sul sito: “Ilaria Capua sostiene di non essere mai stata ascoltata dai magistrati. Non è vero”.
Raramente si era visto tanto accanimento su una persona innocente e prosciolta, pur di non fare autocritica su un’inchiesta flop. Sono false insinuazioni quelle del gruppo Espresso, perché la Capua aveva dichiarato pochi giorni fa al Corriere della Sera di aver parlato con i magistrati nel 2007. Ma erano dichiarazioni spontanee, non un interrogatorio, e non conosceva ancora le accuse, che avrebbe scoperto solo dopo 7 anni sulla copertina dell’Espresso. Dalla chiusura delle indagini i pm non l’hanno mai voluta ascoltare. Non è la prima volta che all’Espresso si usa questo metodo. L’anno scorso Abbate chiedeva le dimissioni del governatore siciliano Rosario Crocetta, dopo che il settimanale aveva pubblicato un’intercettazione inesistente contro la famiglia Borsellino. Due anni prima sempre l’Espresso aveva pubblicato una copertina choc su uno studio manipolato e malinterpretato sulla tossicità dell’acqua potabile in Campania: “Bevi Napoli e poi muori”. Anche per le intercettazioni inesistenti e gli allarmi inventati si è fatto di tutto pur di non ammettere certi abbagli. Nascondere, omettere, manipolare, insinuare. Scusarsi mai. C’è del metodo in questo giornalismo, è il “metodo Espresso”.