I terroni somari ma promossi con la lode
Un diplomato con lode su cinque in Italia vive in Puglia [1].
All’ultimo esame di maturità è stato ammesso il 96% degli studenti, di questi è stato promosso il 99,5% [2].
La scorsa settimana il ministero dell’Istruzione ha reso noti i dati della maturità 2016. Sono aumentati quelli che hanno conseguito il diploma con una votazione superiore all’80 su 100, in calo i 60, cioè il minimo. Ma soprattutto sono cresciute in modo vertiginoso le lodi: 5.133 conquistate in tutte le scuole italiane, 1.237 in più rispetto al 2015 (l’1,1% contro lo 0,9 dello scorso anno). Un record detenuto dagli studenti del Sud: solo in Puglia e Campania sono 1.647, un numero che non si raggiunge nemmeno mettendo insieme le lodi ottenute dai diplomati di Lombardia, Veneto e Piemonte [3].
Guardando alle singole regioni, la Puglia è da primato, con 934 lodi (2,6%), in aumento del 2,3% rispetto al 2015. Seguono Campania, con 713 cento e lode e la Sicilia con 500. L’Emilia Romagna si ferma a 328, la Toscana a 222 [1].
Si è riaperta subito la polemica sul divario tra Nord e Sud nelle votazioni e sul valore legale del titolo di studi. Ilaria Venturi: «In Calabria, ad esempio, più dell’8% dei maturandi ha preso 100 e addirittura il 2% la lode. Più del doppio di Lombardia e Veneto, quasi il doppio del Lazio. Performance non confermate dai test Invalsi e dalle rilevazioni internazionali, come Ocse-Pisa, che invece descrivono un quadro della qualità degli apprendimenti di segno diverso, con quasi tutte le regioni del Sud molto al di sotto della media europea, compresa quella italiana» [3].
Il test Invalsi è una prova scritta che ha lo scopo di verificare il livello di apprendimento degli studenti e la qualità generale del sistema istruzione. I test devono essere sostenuti dagli studenti delle seconde e quinte elementari, prime e terze medie e di tutte le seconde superiori. Due le materie: italiano e matematica [4].
Gian Antonio Stella: «Prendiamo la Sicilia, che oggi vanta proporzionalmente il doppio abbondante di 100 e lode della Lombardia. Dieci anni fa il Pisa (Programme for International Student Assessment) dell’Ocse diceva che nessuno arrancava quanto i quindicenni siciliani. La più sconfortante era la tabella sulle fasce di preparazione. Fatta una scala da sei (i più bravi) a uno (i più scarsi) i ragazzi isolani sul gradino più basso o addirittura sotto erano il doppio della media Ocse. Il quadruplo dei coetanei dell’Azerbaigian. Poteva essere lo sprone per una rimonta. Non c’è stata. Lo certifica il rapporto Invalsi 2015: “Il quadro generale delineato dai risultati delle rilevazioni, che non è particolarmente preoccupante a livello di scuola primaria, cambia in III secondaria di primo grado, assumendo le caratteristiche ben note anche dalle indagini internazionali (...): il Nordovest e il Nordest conseguono risultati significativamente superiori alla media nazionale, il Centro risultati intorno alla media e il Sud e le Isole risultati al di sotto di essa”» [5].
Il problema è che il punteggio della maturità condiziona l’accesso all’università, la graduatoria dei concorsi pubblici e le borse di studio. E in Veneto la questione è stata bollata come «un’emergenza», con la regione guidata dal leghista Luca Zaia che parla di giovani del Nord-Est ingiustamente penalizzati. E che lancia un appello al ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini: si invocano controlli a campione sugli alunni, ispezioni a sorpresa negli istituti di tutta Italia, commissioni ministeriali formate da esperti che possano in qualche modo garantire uniformità, quando vengono assegnati i voti in classe [6].
La questione non è solo politica, ma anche economica. Dieci anni fa fu introdotto un premio in denaro per i maturati con lode: un assegno ministeriale di mille euro, tagliato poi a circa 600 [1].
Ma i prof del Sud sono stati troppo generosi con le lodi rispetto ai colleghi del Nord? A domanda di Valentina Santarpia, il ministro Stefania Giannini ha risposto: «È sicuramente una questione che dobbiamo accertare, e lo faremo attraverso la valutazione dei professori. Finalmente stiamo cominciando a farla, pur tra tanta reticenza» [7].
Giacomo Pignataro, rettore dell’Università di Catania, ha spiegato a Corrado Zunino: «Nelle scuole del Sud si tiene conto del contesto. Spesso, per evitare una dispersione scolastica ancora più massiccia, nelle aule si abbassano gli standard di valutazione e, a ricasco, chi va semplicemente bene ottiene valutazioni superlative. I problemi, tra l’altro, si ripercuotono sulle nostre università: le matricole che arrivano da noi sono spesso impreparate. Hanno deficit seri, soprattutto in italiano e in matematica» [8].
Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, non ha dubbi rispetto alla «poca affidabilità» dell’esame di maturità che non consente la confrontabilità degli esiti a livello nazionale: «Alle commissioni è lasciata eccessiva discrezionalità nella valutazione. Infatti, le università si fidano poco di questi giudizi e gli stessi datori di lavoro non danno più peso al voto di maturità. Così l’esame serve a poco, in primo luogo agli studenti. L’unica strada per riformarlo è fare come in altri paesi europei, dove esistono prove standardizzate e criteri di correzione e valutazione comuni a livello nazionale» [3].
Per Anna Maria Ajello, presidentessa dell’istituto Invalsi, «il dislivello è sorprendente, anche se non nuovo. Ma la lettura degli insegnanti dalla manica larga al Sud è un modo banale di guardare al problema: occorre considerare il contesto, le relazioni, tenendo presente anche che sono i docenti del Sud a insegnare al Nord». Ajello caldeggia il decreto sulla valutazione che dovrebbe introdurre la prova Invalsi alla maturità: «Così faremmo piazza pulita di questo problema: una prova unica, da Nord a Sud, svolta e corretta a computer, che darà risultati certificati e uniformi, più obiettivi» [3].
A questo dibattito si aggiungono le proteste andate in scena nelle ultime settimane dei professori del Sud che si sono visti assegnare una cattedra al Nord. Sit in e cortei ci sono stati a Palermo, Napoli, Bari, Potenza ma anche tante cittadine minori. Flavia Amabile: «Quanti siano esattamente coloro che dovranno fare le valigie nessuno lo sa con precisione. È appena terminata la presentazione dei curriculum per le scuole dell’infanzia e la primaria. Il 19 agosto scadranno i termini per la presentazione delle candidature nella secondaria. Per avere dati certi bisognerà aspettare settembre» [9].
Il ministro Giannini ha ammesso la possibilità che ci siano stati errori nell’assegnazione delle cattedre attraverso un algoritmo: «Certo, anche lì parliamo di grandi numeri. Ma l’algoritmo non è un’entità metafisica, è un modello matematico. Abbiamo visto solo i prof “deportati”, in piazza, come gli 800 siciliani della scuola primaria che dovranno partire. Ma ci sono anche i 1.400, tantissime donne, che da anni insegnavano al Nord e che con questo piano sono rientrati in Sicilia» [7].
Stella: «Certo, è possibile che il famigerato “algoritmo” che ha smistato maestri e professori abbia commesso errori. E vanno corretti. Ma i numeri sono implacabili: 8 insegnanti su 10 sono del Mezzogiorno però lì c’è solo un terzo delle cattedre disponibili. Non per un oscuro complotto anti meridionalista: perché gli alunni delle “primarie” e delle scuole di primo grado sono oggi mezzo milione in meno di vent’anni fa» [10].
Lo studio che spazza via certi slogan urlati in questi giorni è di Tuttoscuola. Che grazie a un monitoraggio capillare, regione per regione, dimostra: «Solo il 37% degli studenti italiani risiede al Sud, Isole incluse (18 anni fa era il 47%); mentre ben il 78% dei docenti coinvolti in questa tornata di trasferimenti è nato nel Meridione» [10].
Riassumendo: i docenti meridionali sono 30.692 ma i posti a disposizione al Sud sono solo 14.192. Maestri e professori in eccedenza nel Mezzogiorno sono complessivamente 16.500, quelli che mancano al Centro-Nord 17.628. Di qua quasi il 67% in meno, di là quasi il 54% di troppo. Con un picco del 64,3% di insegnanti in eccesso in Sicilia. [10].
Quindi «le urla contro “la deportazione coatta”, i lamenti per “una misura indecente e inaccettabile”, le denunce degli “esiti nefasti della mobilità nella scuola”, gli appelli contro “l’esodo biblico”, sono esasperazioni che si rifiutano di tener conto di un dato di fatto: non potendo spostare scuole e studenti, devono spostarsi i docenti» (Gian Antonio Stella) [10].
Note: [1] Valentina Santarpia, Corriere della Sera 11/8; [2] Lorena Loiacono, Il Messaggero 11/8; [3] Ilaria Venturi, la Repubblica 11/8; [4] Corriere della Sera 12/8; [5] Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 12/8; [6] Tiziana De Giorgio, la Repubblica 13/8; [7] Valentina Santarpia, Corriere della Sera 13/8; [8] Corrado Zunino, la Repubblica 12/8; [9] Flavia Amabile, La Stampa 9/8; [10] Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 10/8.
Apertura a cura di Luca D'Ammando
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