Israele collabora con Facebook per eliminare l'odio online, e c'è già chi odia pure questo
Quando si parla di hate speech e di incitamento all'odio sul web, nessuno è più preparato di Israele. Sui social network ogni giorno si assiste alla nascita di decine di gruppi antisemiti, corroborati da articoli e link che rimandano alle più fantasiose teorie complottiste, a post pubblici che inneggiano agli attacchi dei palestinesi contro gli israeliani e spiegano la violenza con la quale vengono trattati sempre più spesso gli ebrei, e non solo virtualmente. E' anche per questo motivo che lunedì scorso alcuni funzionari di Facebook hanno incontrato in Israele dei rappresentanti del governo di Gerusalemme, dopo che il ministro dell'Interno Gilad Erdan e il ministro della Giustizia Ayelet Shaked avevano più volte chiesto alla società di Mark Zuckerberg di rimuovere contenuti offensivi o pericolosi dal social network.
L'idea è quella di utilizzare il "modello Israele" anche nel riconoscimento di un certo tipo di hatespeech, e di bloccare dai social network qualsiasi forma di reclutamento e di estremismo. Il ministro Shaked ha detto lunedì che il governo di Israele negli ultimi quattro mesi ha chiesto a Facebook la rimozione di 158 contenuti ritenuti "pericolosi" perché incitano all'odio contro Israele. Altre 13 richieste sono state sottoposte a YouTube. L'azienda di Zuckerberg ha risposto positivamente nel 95 per cento dei casi, mentre il social network dei video nell'80 per cento. E se due delle più grandi aziende della Silicon Valley concordano quasi internamente nel trovare offensivi alcuni contenuti antisemiti, allora, forse, una qualche verità dovrà pure esserci.
Naturalmente il dialogo tra Gerusalemme e i social network più influenti del mondo non è passato inosservato. Soprattutto nelle stanze dei complottisti di professione, della "trasparenza" anche oltre ogni ragionevole dubbio, anche a costo di sacrificare la verità. Gleen Greenwald, paladino dei leak di Edward Snowden, sul suo giornale online The Intercept ha subito gridato alla censura. Ha tirato fuori l'immagine iconica della bambina vietnamita che fugge dal napalm, censurata "per errore" qualche settimana fa – che nulla ha a che vedere con l'odio contro Israele, ma anzi con i nostri paraocchi occidentali – e ha criticato "le aziende tecnologiche private come Facebook, Twitter e Google che ora diventano arbitri di quello che possiamo vedere o no". Poi, Greenwald prosegue: "Ora Israele sta per obbligare per legge Facebook a censurare i contenuti che gli ufficiali di Israele ritengono impropri, che naturalmente riguardano arabi, musulmani e palestinesi che si oppongono all'occupazione israeliana". Insomma per Greenwald, e per tutti i paladini della giustizia online, la collaborazione tra Israele e Facebook sarebbe un vergognoso atto di censura. Lasciare libere e visionabili pagine che inneggiano alla distruzione di Israele e dei suoi alleati occidentali, che fomentano l'odio contro gli ebrei, sarebbe invece la libertà d'espressione.
Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Una luce dietro il rischio