Perdono pezzi i professionisti dell'antimafia capitale
La notizia è in realtà una non notizia perché la sentenza della Corte d’appello sulla presenza della mafia a Ostia era già arrivata qualche mese fa ed era stata tanto chiara quanto clamorosa: nel quartiere di Roma eletto dalla procura di Roma e dagli sceneggiatori al seguito a simbolo della Mafia Capitale la mafia non c’è e nella sentenza di secondo grado contro il clan Fasciani di Ostia i giudici hanno trasformato l’associazione mafiosa in semplice associazione a delinquere, riducendo la durata di molte delle condanne inflitte. La notizia era nota ma le motivazioni della sentenza, che ha ridimensionato quella che doveva essere la prima grande pistola fumante della presenza della mafia a Roma, da martedì sono pubbliche e rappresentano un colpo duro per la procura di Roma e i nuovi professionisti dell’antimafia capitale.
Nelle 150 pagine della sentenza si dice esplicitamente quello che questo giornale scrive da tempo. Nell’inchiesta su Ostia manca la prova della “pervasività mafiosa”. Non è provato “il diffuso clima d’intimidazione proprio del metodo mafioso”. Le dichiarazioni del principale pentito del processo sono fragili e “non possono ritenersi riscontrate nel presente procedimento”. La Corte d’appello, ovviamente, come ha fatto più volte il Foglio, riconosce che a Ostia, e probabilmente a Roma, vi sono stati “singoli atti intimidatori, posti in essere nei confronti di singoli soggetti” ma li circoscrive appunto a singoli atti: reati di usura, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto di armi, acquisizione di attività economiche in modo occulto. Tutto questo è vero, ma da qui a dire che tra Ostia e la pompa di benzina di corso Francia sia maturata negli ultimi anni una cupola formata da padrini alla Don Vito Corleone che ha tenuto in ostaggio la Capitale d’Italia ce ne passa, perché “non è provato il carattere mafioso del gruppo criminale”. “L’atteggiamento tenuto dai testi escussi nel corso del dibattimento – leggiamo dalle carte – non può essere ricondotto in modo univoco a strategie intimidatorie, o comunque, ad uno stato di diffusa soggezione” e in un caso particolare, quello legato a una storia di usura, “lo stato di soggezione (delle vittime, ndr) può essere ricondotto al debito contratto”. Usura, non mafia. L’inchiesta su Mafia Capitale è ancora lunga e la sentenza su Ostia – contro la quale la procura di Roma ha fatto ricorso in Cassazione – è solo uno dei molti passaggi di un’indagine complicata. Ma le motivazioni sulla non presenza della mafia a Ostia rappresentano un nuovo colpo importante all’inchiesta più grande: quella su Mafia Capitale. E tra procura di Roma e comune di Roma non si può dire che sia un bel periodo per i nuovi professionisti dell’antimafia capitale.