“Spese pazze” nelle Marche, ingiustizia fatta
L’inchiesta sulle “spese pazze” nelle Marche, iniziata nell’ottobre del 2012 col solito clangore di fanfare e conseguenti clamorosi effetti politici, è arrivata ora alla prima sentenza di merito, e il risultato è che dei 66 consiglieri e assessori regionali accusati dalla procura di Ancona, solo 6 sono stati rinviati a giudizio, mentre gli altri sono stati prosciolti o assolti con rito abbreviato. Anche l’ammontare delle presunte “spese pazze”, quantificato in un milione e 200 mila euro, si è ridotto agli spiccioli. Appare evidente che l’inchiesta avviata dalla procura di Ancona è stata condotta in modo approssimativo, con un’intenzione propagandistica, pur in assenza di elementi di prova consistenti.
Naturalmente nessuno pagherà per i danni inflitti alle persone e all’istituzione regionale. La legge sulla responsabilità civile dei magistrati garantisce l’impunità e lo spirito corporativo la rafforza. D’altra parte la pratica dell’incriminazione collettiva di un intero Consiglio regionale, dal punto di vista dell’espansione indebita del potere giudiziario, risulta comunque profittevole. La stampa, che strilla in titoloni di prima pagina le incriminazioni di massa, poi dedica, anni dopo, poche righe a proscioglimenti e ad assoluzioni che non “fanno notizia”. La certezza dell’impunità consente a procure politicizzate o in cerca di visibilità di sparare nel mucchio. In questo modo si dà una visione plastica della “superiorità” della magistratura sulle istituzioni elettive, che quindi vengono oggettivamente intimidite. Il fatto che, alla fine, il castello delle accuse si riveli un castello di carte, non conta. L’effetto mediatico e quello politico sono stati raggiunti subito, la mannaia del cortocircuito politico-giudiziario è calata. Se poi queste condanne preventive non trovano riscontro nelle aule di giustizia, pazienza. Ormai ingiustizia è fatta.