La favoletta della “colata di cemento”
Si può discutere se le Olimpiadi sarebbero state utili o meno a Roma, ma il punto non è questo. Virginia Raggi motiva il rifiuto come “no alle Olimpiadi del mattone, alle colate di cemento sulla città, agli affari dei costruttori”, con la stessa identica formula usata da Beppe Grillo sul suo blog. Dunque mattone e cemento additati come nemici da abbattere, “sterco del diavolo” direbbe Papa Francesco, espressioni di lobby contrarie al benecomunismo e agli interessi dei cittadini dei quali il M5s si erge a unico difensore. Nulla di nuovo, dopo la retorica un po’ sovietica su sostenibilità, scie chimiche, vaccini, chilometri zero, fino alle “cooperative di quartiere per il lavaggio dei pannolini” in campagna elettorale; dopo il “no” a priori alla Tav e alla modernità in genere, tranne il blog di Grillo. Ora demonizzare didatticamente il mattone significa negare a Roma e al paese ciò che ha reso magnifiche New York, Parigi, Berlino, Londra; quello che fa di Milano, tra CityLife e piazza Cordusio, una metropoli che funziona e dà la polvere alla Capitale.
A Roma le opere di architettura contemporanea si contano su poche dita: Maxxi, Auditorium, Nuvola di Fuksas; poi bisogna tornare al razionalismo mussoliniano. A New York e Londra ne nascono decine l’anno: chissà, Raggi avrebbe definito una colata di cemento pure la Freedom Tower. E certo lì c’è stata e c’è poi anche la speculazione: affari, profitto, sfruttamento intensivo degli spazi, abbattimento del vecchio e brutto di cui Roma è piena. Per poi ricostruire con nuove forme e più avanzate tecnologie. E’ questo approccio che ci ha dato lo skyline di Manhattan. Roma si rassegni a malandate piste ciclabili.
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