Cinque buone ragioni per non lagnarsi dei “cervelli in fuga”
Il senatore Pietro Ichino sul suo blog va controcorrente rispetto a chi in questi giorni ha pianto per l’aumento di italiani che si trasferiscono all’estero. Il problema non è che vadano via, scrive, ma che l’Italia impari presto a valorizzare talenti. Propri e altrui.
Come scritto sul Foglio sabato scorso, la notizia di un aumento del 6 per cento, nel 2015 rispetto al 2014, degli italiani che hanno trasferito la propria residenza all’estero è stata raccontata da molti come notizia negativa. Media e istituzioni hanno pianto la “fuga” dei cervelli, e persino il premier Matteo Renzi ha detto che bisogna fare in modo che tornino nel nostro paese. Il giuslavorista e senatore del Pd Pietro Ichino la pensa un po’ diversamente, e lo ha scritto in un breve post in cinque punti sul suo blog:
“1. Lo stesso aumento si osserva in tutti gli altri Paesi del mondo, anche nei più attrattivi. Il problema dell’Italia non è che due italiani su mille, per lo più eccellenti, emigrino, ma che non si registri un simmetrico aumento degli immigrati eccellenti.
2. Più di due terzi dei nostri connazionali che si trasferiscono oltralpe restano dentro i confini della Ue, cioè di un continente che sempre più dobbiamo considerare tutto come casa nostra.
3. Proprio per favorire la mobilità in seno alla Ue abbiamo istituito un regime di libera circolazione; e ancora per questo abbiamo impegnato milioni di studenti nel programma Erasmus; è assurdo, ora, dolerci perché queste misure stanno producendo proprio il risultato per cui le abbiamo adottate.
4. Quando un laureato italiano decide di lavorare all’estero, questo non significa necessariamente per il nostro Paese la perdita dell’investimento compiuto sulla sua istruzione: migrazioni il più delle volte, invece questo favorisce l’attivazione di un nuovo canale di comunicazione internazionale, quindi di nuove opportunità di scambio e nuove possibilità per l’Italia di attingere a esperienze utili.
5. Sta di fatto, comunque, che la probabilità di trovare un lavoro nel quale le proprie capacità siano meglio valorizzate aumenta esponenzialmente con l’aumentare del proprio raggio di mobilità: è dunque bene che anche gli italiani, come il 99 per cento restante dell’umanità, sfruttino le maggiori possibilità di spostarsi che oggi si offrono loro: questo è uno degli effetti benefici più importanti della globalizzazione. E continuerà a esserlo anche quando – speriamo presto – l’Italia diventerà un Paese più capace di valorizzare i propri talenti. E, se possibile, anche quelli altrui”.
Come scriveva Piero Vietti sul Foglio sabato, “i cervelli non sono in fuga, ma in movimento. E possono muoversi grazie a un mondo globalizzato, in cui soprattutto i più giovani vedono opportunità, anche a costo di mettere da parte le proprie radici”. “Occorre dare strumenti nuovi ai giovani italiani, per poi mandarli nel mondo senza paura di perderli. Nel contempo aprirsi al mercato globale, puntando sull’innovazione: prima o poi torneranno. E se non lo faranno ne arriveranno altri, altrettanto validi”.
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