Mediatrade e la giustizia squilibrata
La Corte di cassazione ha annullato senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato, la condanna subita in Appello da Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi per l’accusa di frode fiscale connessa all’acquisto di prodotti cinematografici nell’inchiesta Mediatrade. Com’è noto, Confalonieri e Berlusconi jr. erano stati assolti in primo grado dopo un procedimento assai analitico durato tre anni. La procura ha voluto ricorrere egualmente in Appello e ha trovato un giudice di merito compiacente, che ha emesso una condanna basata su un’evidente contraddizione. Gli imputati sono stati condannati per aver commesso un fatto, e insieme per aver omesso di compiere quello stesso atto, come osserva con sarcasmo la sentenza di annullamento della Cassazione, richiesta peraltro dallo stesso procuratore. Il fatto che si sia deciso di annullare senza rinvio fa capire che il giudizio della Corte d’appello è apparso completamente infondato.
Perché in Italia è consentito all’accusa appellare le sentenze di assoluzione? In paesi dove vige il processo accusatorio – quelli anglosassoni in primo luogo – non si può essere processati due volte per lo stesso reato. Chi è assolto in primo grado non può più essere perseguito ulteriormente. Il fatto stesso che un tribunale abbia già giudicato non colpevoli gli imputati costituisce un ragionevole dubbio, il che inibisce la ripetizione del procedimento. Questa norma impone all’accusa di procedere solo quando è convinta di essere in grado di provare che il reato è stato effettivamente commesso, perché se si presenta al giudizio con prove inconsistenti o carenti sa che non potrà riprovarci in un grado successivo. Il sistema italiano, che ha adottato il meccanismo accusatorio senza però introdurre il divieto di appellare le sentenze assolutorie, consente all’accusa di tentarle tutte finché trova una corte che le dia ragione (salvo poi essere severamente censurata dalla Cassazione, com’è avvenuto in questo caso). La procedura penale è in questo modo gravemente squilibrata a vantaggio dell’accusa il che, sommato alla mancata separazione dei ruoli professionali della magistratura inquirente e di quella giudicante, crea un potere sproporzionato delle procure, che se poi si collega a prevenzioni politiche dà corpo a quello che viene chiamato il “partito delle procure”. Se anche persone in grado di avvalersi di tutti gli strumenti più professionali della difesa – come gli imputati in questa vicenda – rischiano di finire stritolate nella roulette russa del sistema giudiziario italiano, è facile immaginarsi che altri, che non dispongono di quelle risorse, si trovano privati di un effettivo diritto alla difesa. Anche per questo sarebbe il caso di correggere i meccanismi che determinano la sproporzione tra accusa e difesa che affligge il sistema italiano.
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