Un codice senza “identità”
Carla Caiazzo è una donna di 38 anni che, incinta, è stata cosparsa di liquido infiammabile dal compagno e data alle fiamme, a Pozzuoli. E’ sopravvissuta, e anche la piccola Giulia, che oggi ha nove mesi, grazie all’intervento dei medici del Cardarelli. Non serve nemmeno spiegare in quali condizioni di menomazione fisica e morale Carla viva oggi. Ieri ha scritto al presidente Mattarella, tramite Repubblica, perché “da vittima voglio rappresentare un momento di riscatto e di riflessione per tutte le donne che subiscono, in silenzio, le violenze dei propri uomini”. E poi: “Ti scrivo per chiederti di sollecitare il nostro legislatore ad individuare… una nuova figura di reato che punisca severamente coloro che, nel loro intento delittuoso, colpiscono le donne e, soprattutto, le cancellano dalla società civile”. Quello che propone Carla, con l’aiuto in legalese del suo avvocato, è di introdurre un nuovo reato: “Con il mio difensore, l’abbiamo denominato ‘omicidio di identità’”. “Il mio aggressore mi ha ammazzato lasciandomi viva. Siamo vittime di chi ha voluto cancellarci, distruggere, deturpare il nostro viso”.
L’uomo che ha tentato di ammazzare (cancellare?) Carla Caiazzo, Paolo Pietropaolo, è in carcere, e il processo si sta celebrando con rito abbreviato. I pm per lui hanno chiesto quindici anni di reclusione per tentato omicidio e stalking. Ma funziona così, la giustizia: nessun giudice può risarcire ciò che non è risarcibile. Ogni tragedia ha, com’è giusto che sia, il suo specifico dolore (in legalese si chiama “fattispecie”), ma il reato, anzi, la sanzione penale connessa a quel reato, non può essere personalizzato. I reati per cui sarà condannato Pietropaolo sono già codificati. Il reato di femminicidio ha reso un’aggravante lo stalking e gli atti violenti contro il coniuge (2013), ma ha consegnato più giustizia a quelle donne? Aggiungere un diritto all’identità violata, è un maquillage giuridico. Come per l’omicidio “stradale”.
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