Incitazione al martirio non è terrorismo, dice la Cassazione
Il solo indottrinamento teorico alla causa jihadista, non seguito da attività materiale di addestramento al martirio degli adepti, non basta a configurare il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale.
Secondo la Cassazione il proselitismo e l'incitazione al martirio in nome del proprio credo non costituisce reato; nello specifico, i giudici si sono espressi sul caso dei tre tunisini e un magrebino intercettati dagli inquirenti e accusati di pianificare un attentato terroristico. Il tribunale, in merito alla sentenza di assoluzione emessa lo scorso 14 luglio sui quattro jihadisti della moschea di Andria, rimarca tra le ragioni la disgiunzione tra l'attività di reclutamento e quella di addestramento degli aspiranti combattenti.
L'indottrinamento inteso come predicazione teorica e non finalizzato alla realizzazione di attentati, spiegano i giudici, non rappresenta una reale minaccia per la collettività. La motivazione della sentenza è giustificata dal solo proselitismo, che non è condannabile, secondo i supremi giudici. Nel caso dei quattro uomini arrestati, i filmati girati con scopi di propaganda non costituiscono elementi sufficienti per sostenere l'accusa di terrorismo. Inoltre, il tempo intercorso tra l'epoca dei dialoghi intercettati e l'arresto, avvenuto nel 2013, nel quale non si è verificato alcun atto di terrorismo, gioca a favore della decisione dei giudici. Il tunisino Hosni Hachemi Ben Hassen, iman di Andria, dopo l'assoluzione, ad agosto è stato rimpatriato per poi essere nuovamente espulso per aver inneggiato agli attentati avvenuti in Francia.