Svolta di Garlasco: "Se c'è un nuovo nome lo si faccia"
Per Gian Luigi Tizzoni, avvocato di Rita Preda, la madre di Chiara Poggi, "le prove a carico di Alberto Stasi restano"
“C'è una sentenza definitiva e per noi vale quella. Se la difesa di Stasi ha un nome lo faccia pubblicamente, senza nascondersi dietro un dito”. L'avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale di parte civile di Rita Preda, la madre di Chiara Poggi, getta acqua sul fuoco dopo le sorprendenti rivelazioni a proposito del Dna trovato sotto le unghie della ragazza uccisa a Garlasco: per la difesa di Alberto Stasi, quelle tracce apparterebbero a una non meglio precisata persona di sesso maschile. “Li sfido a presentare una denuncia formale contro chi ritengono responsabile”, aggiunge Tizzoni parlando all'Ansa.
Per l'avvocato “non è emerso alcun elemento di novità da questi ulteriori accertamenti. Tutto è già stato affrontato nella perizia che ha ritenuto i risultati dell'esame dei margini delle unghie giuridicamente inutilizzabili. Da due analisi di quel materiale sono emersi risultati completamente diversi”. Secondo Tizzoni, i periti di Stasi “hanno raccolto il dna di una persona di cui sospettano. Bisogna domandarsi con che cosa l'hanno comparato. Evidentemente con uno solo dei due estratti. Ma per la Cassazione è necessario che ci sia ripetibilità sullo stesso campione”.
Per il delitto di Chiara Poggi avvenuto il 13 agosto 2017, Alberto Stasi è stato condannato in via definitiva a 16 anni di carcere. Anche se le nuove prove dovessero essere avallate dalla polizia giudiziaria, “il nuovo indizio da solo non farebbe venir meno tutte le altre prove a carico di Stasi, semmai potrebbe prospettare, ma è un'ipotesi a cui non credo, il suo concorso con altre persone”, conclude Gian Luigi Tizzoni.
Non si tratta di una svolta nemmeno per il generale Luciano Garofano, ex Comandante del Ris: “Quel dna è stato esaminato nel corso del secondo giudizio d'appello e la perizia concludeva con una presenza di dna attribuibile alla vittima e in parte a un uomo che non è possibile identificare, non escludendo che appartenesse all'imputato. Non credo assolutamente che quel profilo possa portare a un'identificazione certa”, spiega a Radio Monte Carlo Garofano, secondo cui non può arrivare “nessuna nuova verità processuale: non si può andare oltre i limiti di quel risultato e la prova di cui si parla oggi non è sufficiente a riaprire alcunché”.