Sotto la polvere nigeriana sull'Eni
A un mese dalle nomine la procura di Milano accusa l’amministratore delegato Descalzi
I vertici delle principali società di stato, Finmeccanica ed Eni, sono in subbuglio a pochi mesi dal rinnovo delle cariche, in primavera, per via di interventi dell’autorità giudiziaria che non è difficile immaginare porteranno alla gogna mediatica i loro amministratori.
Una settimana fa i giornali invocavano le dimissioni dell’ad di Finmeccanica, Mauro Moretti, condannato in primo grado per la strage ferroviaria di Viareggio in quanto dirigente Fs all’epoca dei fatti. A un mese dalle nomine, ieri la procura di Milano ha chiuso una lunga inchiesta sull’Eni cominciata nel 2014 successivamente alla investitura di Claudio Descalzi come amministratore delegato.
La procura avrebbe formulato richieste di rinvio a giudizio per Descalzi, il suo predecessore Paolo Scaroni, altre nove persone e la britannica Shell per presunte tangenti in Nigeria per la compravendita del giacimento a mare Opl 245 del 2011. La notizia è filtrata sui media ma gli interessati non hanno avuto notifica.
Sotto il tappeto di questa inchiesta c’è tanta polvere quanto quella che si respira per le strade di Abuja. La società Evp di Emeka Obi, all’epoca in possesso di un valido accordo confidenziale di esclusiva per la vendita del giacimento stipulato con il proprietario, che non era lo stato nigeriano ma Dan Etete, ex ministro del Petrolio durante il regime di Abacha, che nel 1998 aveva ottenuto i diritti sul pozzo costituendo subito la società fantoccio Malabu. Questo predone è nelle accuse la pedina dello schema contro Eni.
Un castello di carte che un processo inglese ha già smontato: le copiose carte del giudice londinese Gloster forse andrebbero lette anche dai professionisti della gogna.