25 anni dopo Tangentopoli l'Italia è sempre più giustizialista
Da Mani pulite a Mafia Capitale è il trionfo dello scandalismo mediatico
Negli stessi giorni in cui a Roma crollava il castello costruito sui presunti mafiosi che avrebbero conquistato la capitale, a Milano si celebrava tra pochi intimi, in una sala semideserta del tribunale ambrosiano, il venticinquennale di Mani pulite. Se ne potrebbe trarre l’impressione che la scalata dello strapotere giudiziario iniziata nel 1992 sia fallita o, quantomeno, che sia entrata in una fase discendente. Purtroppo si tratta di un’impressione sbagliata.
In realtà, la conquista giustizialista dello stato è progredita in questi anni e continua a rappresentare una pesante ipoteca sullo sviluppo di una democrazia politica basata sulla sovranità popolare. Quelli che hanno disertato il convegno milanese di Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo, magistrati e giornalisti, forse erano troppo occupati a scambiarsi informazioni e insinuazioni sui procedimenti in corso, in modo da riempire le prime pagine dei giornali con le gesta attuali della corporazione, più succulenti della rievocazione delle glorie di ieri o dell’altro ieri.
Guardando all’altro episodio, quello romano, bisogna sottolineare il fatto che una tattica investigativa spregiudicata, che consente di indagare per mafia decine e decine di persone senza uno straccio di indizio concreto, non ha sollevato scandalo, anzi: è stata presentata come un esempio di garantismo per il fatto che la procura, bontà sua, ha mollato la presa quando è stato evidente che il suo castello accusatorio non aveva il minimo fondamento. Si susseguono archiviazioni e assoluzioni di imputati o indagati che erano stati presentati all’opinione pubblica come malfattori impenitenti, ma queste notizie si trovano a fatica in qualche trafiletto delle pagine interne, mentre quelle delle accuse o delle condanne in primo grado poi riformate erano strillate in prima pagina. È impressionante la giustificazione che viene data di questa vergognosa asimmetria: quando fu accusato, il soggetto politico o imprenditoriale era potente e importante e quindi faceva notizia. Ora, dopo le vicissitudini giudiziarie (subite da innocente, ma non importa) non conta più niente, quindi non merita che la sua assoluzione o archiviazione abbiano rilievo.
Insomma, siccome sono stati stritolati dal combinato mediatico-giudiziario, ora sono personaggi trascurabili e, quindi, vanno trascurati. L’effetto dello strapotere giudiziario, oltre che danneggiare e in qualche caso rovinare singole persone, è stato rilevante e probabilmente decisivo nell’impedire che si stabilizzasse un sistema politico in grado di gestire in modo fisiologico la competizione. Non è questione di toghe rosse o di toghe nere, ma di un’azione di erosione costante e tenace di ogni processo di formazione di classi dirigenti politiche autonome. Questa azione distruttiva dello scandalismo e dell’indignazione professionali, ormai elementi permanenti e portanti di quel che resta del sistema politico, non avrebbe potuto svilupparsi fino alle dimensioni attuali, se la volontà dell’ordine giudiziario di trasformarsi in potere dello stato fino a sostituirlo non si fosse incontrato con gli interessi di altri poteri non elettivi, quelli di una debole aristocrazia finanziaria – che egualmente è interessata a impedire che si consolidino soggetti politici in grado di esercitare autonomamente le funzioni di governo e di amministrazione.
È così che si spiega l’atteggiamento dell’informazione, che da questi poteri dipende, che ha fatto e continua a fare da cassa di risonanza dello scandalismo. La debolezza istituzionale italiana, l’impossibilità di apportare le necessarie riforme di sistema, le conseguenti instabilità dei governi e friabilità dei partiti, sono anche l’effetto di questa condizione di minorità e di intimidazione permanente. E’ una spirale dalla quale è assai arduo divincolarsi, almeno finché non se ne identificano le cause e non si uniscono le forze che puntano a restaurare un sistema di potere democratico basato sulla sovranità popolare e non sull’alleanza tra poteri burocratici ed establishment deboli che paralizzano lo sviluppo di una politica autonoma e riformatrice.