Finiremo con la “milde dood”?
Significa eutanasia in olandese. E anche loro iniziarono con Dj Fabo
Può essere invocato l’argomento della “punta dell’iceberg”: non si riesce a vedere tutta la massa sommersa delle conseguenze indesiderabili, ma esistono e presto o tardi le subiremo. C’è l’argomento del “domino”: a ogni pezzo bisogna aggiungerne un altro, per metà uguale e per metà diverso. C’è il “paradosso del mucchio di grano”: quanti chicchi di grano bisogna mettere insieme per fare un mucchio? E se togliamo un chicco alla volta, in quale punto preciso di questa nostra operazione si potrà dire che il mucchio non esista più? La cronaca della fine di Dj Fabo sembra consegnarci una visione prometeica e nobile dell’eutanasia come pura autodeterminazione di un individuo adulto (ma l’eutanasia non riguarda soltanto i malati terminali, visto che Fabo non lo era). Tuttavia, l’eutanasia è un piano inclinato e non riguarda soltanto questi Roberto Saviano pieni di belle parole e indignazione. L’Olanda iniziò così, con Dj Fabo e il consenso di impartire la “milde dood”, la dolce morte, soltanto a un adulto senziente e consenziente. Si è finiti con i malati psichiatrici, gli invalidi, i bambini. E sui bambini prima si iniziò con il limite dei sedici anni, poi si scese a dodici, e giù, fino all’eutanasia pediatrica praticata da quegli stregoni col camice bianco di Groningen ai neonati di uno, due giorni.
Con l’eutanasia prima o poi chiederanno l’accesso a questa irresistibile pozione liberatrice anche categorie di cui avremmo detto, “oh no, loro mai”. Bambini con la spina bifida, non vedenti, depressi. Lo ha detto non un trombone cattolico, ma Ludwig Minelli, fondatore dell’organizzazione “Dignitas” che porta in Svizzera la gente a morire: “Se accettate l’idea dell’autonomia personale, non potrete stabilire condizioni secondo cui godono di questo diritto solo i morenti”. Chiedetelo ai medici olandesi: prima hanno eliminato i malati terminali che lo chiedevano, poi i disabili che lo chiedevano e, da ultimi, i nuovi nati che non lo hanno mai chiesto. Se si apre a questa cultura della morte non c’è più modo di fermarsi. Quando iniziarono a uccidere i pazienti depressi ma non fisicamente malati, i medici olandesi dissero che solo i coscienti con un desiderio “razionale” di morire ne avrebbero “beneficiato”. Poi, quando passarono a uccidere i disabili, come i malati di Alzheimer, dissero: “Solo i pazienti che lo avrebbero chiesto”. Poi sono passati ai bambini. Prima i bambini terminali per alzare la posta del dolore e della compassione. Poi quelli la cui “qualità della vita” era troppo bassa da renderla “insopportabile”. È l’implacabile forza di gravità degli abissi. Fate un giro in Belgio, in Olanda, in Lussemburgo. La Repubblica potrebbe raccontarci quello che accade lì, anziché ricamare sull’eutanasia come saga eroica.