“Vietare il velo islamico non è discriminatorio”
I giudici del tribunale di Milano respingono il ricorso contro la delibera della Regione Lombardia che fissa le regole per ospedali e uffici pubblici: “Sacrificio giustificato da esigenze di sicurezza”
La vicenda risale alla fine del 2015 quando, con una delibera, la Regione Lombardia aveva introdotto il divieto di indossare, in ospedali e luoghi pubblici, burqa e niqab cioè il velo che, nella tradizione musulmana, copre completamente le donne rendendo visibili solo gli occhi (niqab) o nemmeno quelli (burqa). La delibera nasceva dall'articolo 5 della legge 153 del 1975 che vieta “l'uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in luogo pubblico o aperto al pubblico senza giustificato motivo”. E contro di essa quattro associazioni per i diritti degli immigrati (Asgi, Naga, Apn e Fondazione Piccini) avevano presentato ricorso chiedendo che il tribunale dicesse chiaramente che si trattava di un atto “discriminatorio”.
Secondo quanto riferisce il Corriere della Sera, però, i giudici hanno respinto la loro richiesta. Per la I sezione civile del Tribunale di Milano e per il giudice Martina Flamini, infatti, quello richiesto dalla Regione è un “sacrificio” che “comporta di fatto un particolare svantaggio per le persone che aderiscono a una determinata religione”. Ma questo non nasce da una volontà “discriminatoria”, bensì da “una finalità legittima, ragionevole e proporzionata rispetto al valore della pubblica sicurezza, concretamente minacciata dall’impossibilità di identificare (senza attendere procedure che richiedono la collaborazione di tutte le persone che entrano a volto scoperto) le numerose persone che fanno ingresso nei luoghi pubblici individuati”.
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