“Morire dignitosamente è un diritto”. La Cassazione apre alla scarcerazione di Riina
Il boss ha 86 anni ed è in carcere dal 1993. Malato da tempo, la Suprema Corte chiede che il tribunale di sorveglianza di Bologna riesamini la richiesta presentata dai suoi difensori
È giusto, in punto di morte, provare sentimenti di pietà per chi ha vissuto gran parte della propria vita uccidendo? Perché concedere una morte pietosa a chi ha deciso, senza alcun sentimento di pietà, di porre termine, in maniera violenta, alla vita di altri? Una risposta a queste domande, forse, non c'è. Difficile chiedere pietà e perdono a chi ha provato il dolore di dover sopravvivere ai propri cari. Di andare avanti chiedendosi ogni mattina: perché?
Ma sono domande che riemergono con prepotenza oggi che la Corte di Cassazione ha deciso di riaprire la discussione sulla possibile scarcerazione di Totò Riina. Il boss mafioso, 86 anni, è in carcere dal 1993 ed è da tempo malato. I suoi difensori hanno più volte chiesto che gli venissero concessi un differimento della pena o gli arresti domiciliari. Lo scorso anno il tribunale di sorveglianza di Bologna (attualmente Riina si trova nel carcere di Parma ndr) ha però respinto la richiesta sottolineando che le “pur gravi condizioni di salute del detenuto” non fossero tali da “rendere inefficace qualunque tipo di cure” e osservando che comunque non erano stati superati “i limiti inerenti il rispetto del senso di umanità di cui deve essere connotata la pena e il diritto alla salute”.
Il giudice evidenziava anche la “notevole pericolosità” di Riina, in relazione alla quale sussistevano “circostanze eccezionali tali da imporre l'inderogabilità dell'esecuzione della pena nella forma della detenzione inframuraria”. Non solo, pur malato, Riina non aveva “mai manifestato volontà di dissociazione” e manteneva una “posizione di vertice assoluto dell'organizzazione criminale Cosa nostra, ancora pienamente operante”. Il timore del tribunale era che pur malato, questo non impedisse a Riina di agire da “mandante di ulteriori gravissimi delitti”.
Contro la decisione gli avvocati di Riina avevano presentato ricorso. E oggi la Cassazione ha deciso di accoglierlo chiedendo al giudice di valutare nuovamente se sussistano o meno i presupposti per concedere al boss il differimento della pena o gli arresti domiciliari per motivi di salute. Per la Suprema Corte, la decisione del tribunale di sorveglianza è “carente” e “contraddittoria” e non tiene contro del “complessivo stato morboso del detenuto e delle sue generali condizioni di scadimento fisico”. Quindi, affinché la pena non si risolva in un “trattamento inumano e degradante” appare giusto, per la Cassazione, effettuare una nuova valutazione.
“L'esistenza di un diritto di morire dignitosamente - si legge nella sentenza -, che deve essere assicurato al detenuto e in relazione al quale il provvedimento di rigetto del differimento dell'esecuzione della pena e della detenzione domiciliare deve espressamente motivare”, anche tenuto conto delle “deficienze strutturali della casa di reclusione di Parma”.
Il giudice di merito, dunque, deve “verificare, motivando adeguatamente in proposito, se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tali intensità da eccedere il livello che, inevitabilmente, deriva dalla legittima esecuzione di una pena”. Ora, sulla base delle indicazioni e dei principi espressi della Suprema Corte, il tribunale di sorveglianza di Bologna dovrà riesaminare le istanze delle difesa di Riina.
La reazione dell'avvocato difensore. Ovviamente soddisfatto Luca Cianferoni, uno dei difensori del boss mafioso, che intervistato dall'Adnkronos commenta la decisione della Corte: “C'è legittima soddisfazione da parte di noi legali per un percorso di difesa il più delle volte oscuro rispetto all'opinione pubblica, e che riguarda la salute di un uomo in condizioni molto, molto critiche”. L'udienza davanti al tribunale di Bologna per esaminare la richiesta di scarcerazione è fissata per il 7 luglio.
La posizione dell'associazione Antigone. “Uno stato forte e democratico – ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – non fa mai morire nessuno in carcere deliberatamente. Dal punto di vista del principio espresso dai giudici della Cassazione non possiamo che essere totalmente d’accordo. Se non fosse così vorrebbe dire che per noi la pena è pura vendetta.”. “Quella riguardante Riina è una sentenza molto importante", prosegue Gonnella, "poiché pone il tema della dignità umana e di come essa vada preservata anche per chi ha compiuto i reati più gravi e, di conseguenza, come la pena carceraria non possa e non debba mai trasformarsi in una sofferenza atroce e irreversibile”.
“Ancora oggi - ricorda Gonnella - ci sono detenuti che da circa 25 anni sono continuativamente sottoposti al regime duro di vita penitenziaria disciplinato dall’art 41 bis 2° comma dell’ordinamento penitenziario. Alcuni di loro versano in condizioni di salute gravissime tali da non poter costituire mai un pericolo all’esterno. Qualora un detenuto come Riina avesse l’opportunità di essere curato fuori dal carcere sarà comunque cura degli organi investigativi e delle forze dell’ordine fare in modo che ciò possa avvenire senza che questo costituisca un rischio relativamente alla commissione di nuovi reati”.
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