I progressi nel caso di Giulio Regeni
Le indagini portano frutti, a dispetto degli indignati da talk-show
Quando ad agosto il governo Gentiloni ha rimandato un ambasciatore italiano al Cairo c’è stato parecchio malumore perché, si diceva, riaprire le relazioni diplomatiche con l’Egitto è come tradire le indagini sulla morte atroce del ricercatore italiano Giulio Regeni, rapito, torturato e ucciso nell’ultima settimana di gennaio 2016. Ma come, diceva la voce del malumore, se rimandiamo l’ambasciatore al Cairo è come se premiassimo lo stesso governo che ci sta negando le informazioni per risolvere il caso.
Il governo Gentiloni spiegava che ormai dopo un anno e mezzo l’assenza di un nostro diplomatico in Egitto era un’arma scarica, non era più un modo di esercitare pressioni, e che anzi, la presenza dell’Italia avrebbe facilitato le indagini. Ma, si sa, le versioni calunniose hanno sempre più fascino della realtà e quindi in quei giorni si parlò addirittura di un governo costretto da questioni di interesse nazionale a scordarsi di Regeni. Invece, è notizia di questi giorni, gli inquirenti italiani in stretta collaborazione con quelli egiziani sono riusciti a trovare i nomi dei dieci egiziani indiziati, tra agenti di polizia e della Sicurezza nazionale. Una squadra, che pedinò il giovane italiano, è accusata di averlo sequestrato. Un’altra invece è accusata di avere creato il depistaggio che costò la vita ad alcuni egiziani, uccisi e poi fatti passare per i rapitori.
Così, proprio nella stessa settimana in cui l’italiana Eni batte il proprio record storico di estrazione di idrocarburi grazie a un giacimento marino egiziano, i magistrati italiani parlano della collaborazione concreta e piena di risultati con i colleghi egiziani. Adesso che ci sono i nomi le indagini entreranno nel campo minato della politica del Cairo, ma quell’equazione da quattro soldi di cinque mesi fa – l’Italia non spinge su Regeni perché ha altri interessi – si dimostra essere un’altra balla ingenerosa. In particolare il grillino Alessandro Di Battista aveva montato un piccolo show dell’indignazione dutante il dibattito parlamentare. “Quando un paese sacrifica un ragazzo sull’altare degli interessi economici è un Paese morto. E lo avete ammazzato voi questo paese, lo ha ammazzato la vostra ipocrisia”. Intanto le indagini proseguivano con efficienza, discrezione e rapidità. Avanti così.
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