Il corpo di una donna
Una pachistana costretta ad abortire dai genitori. Dove siete, integrazionisti?
Farah ha diciotto anni e va al liceo. E’ pachistana, vive a Verona e frequenta un ragazzo italiano. Le succede una vera e propria “disgrazia”: rimanere incinta. Sì, perché i genitori l’hanno portata in Pakistan, dove è stata costretta ad abortire. Non potevano consentire che dal suo ventre “puro” (il Pakistan è il “paese dei puri”) nascesse un bimbo figlio di una relazione con un “infedele”. A denunciarlo le compagne di scuola di Farah.
Un altro caso terribile dal nostro sonnolente ma attivissimo multiculturalismo italiano. Farah viene dopo il caso Sana, la ragazza uccisa perché non voleva lasciare il fidanzato italiano. Ci sono voluti molti giorni prima di far luce sull’uccisione di Sana. E anche per questo valgono le cautele del caso. Ma, come il Londonistan inglese e le banlieue francesi o le periferie svedesi, sta prendendo corpo e piede anche in Italia una segregazione culturale fatta di delitti d’onore, botte, matrimoni forzati, sottomissione e adesso anche di aborti selettivi. Viene naturale domandarsi a questo punto dove siano le nostre brave femministe, le misericordiose attiviste del “sociale”, le fanatiche dell’equivalenza morale, le ossequiose del relativismo culturale. Perché l’integrazione, cui anelano tanto, non avverrà mai se consentiremo che nelle nostre città si instauri una legge del taglione familistica e islamista, sotto la cui scure a farne le spese sono principalmente le donne, il cui corpo è da soggiogare per costruire la società dei sottomessi.