Il crollo del ponte a Genova e la magagna culturale
Progresso negato e paura della modernità. La sindrome del No al governo
Il comunicato dei comitati No Gronda rimasto lì, sospeso nel vuoto del pensiero, sul Sacro Blog dei Cinque stelle, in cui si sosteneva che lo stato pericolante del viadotto sul Polcevera era una balla per favorire i progetti di nuove infrastrutture, cioè di nuovo magna-magna. Il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, che di quella cultura del sospetto e del non fare è portatore, che per prima cosa sa solo dire “i responsabili pagheranno”, anziché interrogarsi su quali radicali investimenti infrastrutturali servano al paese. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini che lo segue a ruota. Persino la tesi suggestiva, ma all’atto pratico destituita di fondamento di Milena Gabanelli, secondo cui la colpa è della concorrenza internazionale che ha aumentato la portata dei tir, cosicché i viadotti collassano.
Sono piccole e grandi menzogne di pessimo gusto sul disastro di Genova. Un po’ anche come dire che il ponte Morandi, in perenne manutenzione, era affetto “da gravissimi problemi di corrosione legati alla tecnologia che Morandi stesso aveva brevettato e che si è dimostrata fallimentare”.
Quando fu costruita, quell’opera ardita non era stata considerata “fallimentare”. Ma è passato mezzo secolo, il calcestruzzo si corrode, persino il cemento ha una data di scadenza e lo si sa da tempo. I ponti (e anche le case, i palazzi) crollano o vengono abbattuti e rifatti, altrove. Il tempo di intervenire, c’era. Il problema è la volontà, che nasce solo dalla consapevolezza.
In Italia, dicono gli esperti, ci sono da demolire per carenze strutturali milioni di case, e decine di ponti stradali (ne sono crollati dieci in cinque anni). Invece di invocare colpevoli (se ci sono, saranno individuati) ci sarebbero due domande da porsi. La prima: che cosa è avvenuto, in Italia, in questo mezzo secolo? Il disastro di Genova con il suo carico di morti è l’immagine di una sintetica risposta. E’ avvenuto che un paese che aveva scommesso nella sua modernizzazione, anche a tappe forzate – di cui le autostrade e i loro viadotti sono stati e sono la nervatura vitale – ha smesso di pensare in grande e alle grandi opere. Che a volte sono diventate un pozzo senza fondo di denaro pubblico sprecato, va bene, ma non è il punto. Il punto è che sono state frenate da una cultura del sospetto (dal Ponte di Messina alla Tav) sulla loro utilità. E da una fasulla cultura della manutenzione: scarsi investimenti, mantenimento dell’esistente, l’ideologia del risparmio del territorio a bloccare spesso le nuove vie di comunicazione. La seconda: una classe dirigente come la attuale, che non crede allo sviluppo, che si affida a bufale come quello del ponte che stava benissimo e giudica inutili opere come la Gronda di Ponente è in grado di gestire, questa emergenza? Toninelli si schermisce, “è a Autostrade (la società concessionaria, ndr) che compete la manutenzione”; dalle parti della Lega si pensa a modificare le regole di concessione, chiedendo più investimenti. Ma ci sono decisioni così grandi, investimenti così ingenti e urgenti, che soltanto un paese consapevole, e un governo coraggioso, possono fare. E’ anche un problema di mentalità.
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