Se sulla tragedia di Avellino la giustizia non basta
Nel processo di primo grado sull’incidente del 28 luglio 2013 nel quale 40 persone morirono a bordo di un bus precipitato da un viadotto comminate pene per oltre 53 anni di reclusione. Ma i familiari protestano per l'assoluzione dell'ad di Autostrade
Questa mattina il tribunale di Avellino ha condannato otto imputati al termine del processo di primo grado sull’incidente del 28 luglio 2013 nel quale persero la vita 40 persone a bordo di un bus precipitato da un viadotto autostradale. Il tribunale ha comminato pene per un totale di oltre 53 anni di reclusione e tra i condannati ci sono anche il titolare dell’azienda del bus precipitato nella scarpata (12 anni di reclusione) e il direttore responsabile del tronco autostradale (5 anni e 6 mesi). Tutto ciò, però, sembra non bastare.
Dopo la lettura della sentenza, infatti, è esplosa la rabbia dei familiari delle vittime: “Schifo”, “Vergogna”, “Venduti”, “Assassini”, “Questa non è giustizia”, hanno gridato in aula, arrivando persino a insultare e minacciare il giudice.
Perché, secondo loro, questa non sarebbe giustizia? Perché oltre alle condanne ci sono state anche sette assoluzioni nei confronti dei vertici di Autostrade, e in particolare dell’amministratore delegato Giovanni Castellucci, l’imputato più in vista dell’intero processo, per il quale l’accusa aveva chiesto una condanna a 10 anni.
Insomma, non bastano otto condanne per oltre 53 anni di pena totali. Al popolo della gogna serviva il capro espiatorio (Castellucci). Serviva il patibolo a un popolo che negli ultimi 25 anni si è formato in una cultura giustizialista, basata sull’annientamento delle garanzie degli imputati, finendo per sfornare una nuova classe dirigente (quella grillina) che approva riforme che sono il trionfo del populismo penale.
Non è un caso se la prima reazione politica alla sentenza sia stata quella di Alessandro Amitrano, deputato campano del Movimento 5 Stelle, che ha espresso “la massima solidarietà” ai parenti delle vittime, sostenendo che non tutta la verità sul caso è emersa: “Il vostro dolore è anche il nostro. Siamo sorpresi per questa sentenza e attendiamo di leggere le motivazioni, intanto andremo avanti insieme ai familiari, dando loro il massimo sostegno qualora decidessero di andare in Cassazione. Questa vicenda non si può concludere senza che siano emerse fino in fondo le responsabilità”.
Non è neanche un caso che il deputato grillino, subito gettatosi nella vicenda per sfruttarla politicamente, abbia parlato di ricorso in Cassazione, dando sfoggio di una totale ignoranza in materia, visto che contro una sentenza di primo grado si propone ricorso in appello, e non in Cassazione. Ma, in fondo, anche lui fa parte del popolo di cui sopra.
“I poteri forti mettono a tacere la verità e la giustizia”, ha infine dichiarato il presidente del comitato che riunisce le famiglie delle vittime dell’incidente, esibendo la medesima retorica protagonista dell’ascesa dei partiti populisti, e rafforzando l’impressione che sarà dura uscire da tutto questo, e tornare alla civiltà.
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