La nemesi del pecorone arcobaleno
Poniamo che un marziano sbarchi oggi sulla terra. Potrà non aver avuto contezza delle notizie degli ultimi giorni: la crisi greca, gli attentati terroristici, l’anticiclone africano in arrivo. Ma al marziano che sbarca sulla terra, in fondo, basterebbe farsi un giro su Facebook per conoscere la notizia della settimana. Subito dopo la decisione della Corte suprema americana di autorizzare costituzionalmente le nozze gay – ma davvero subito dopo, tanto da far pensare che il coniglio fosse già pronto nel cilindro – il social network di Mark Zuckerberg ha tirato fuori un’applicazione per permettere agli utenti di colorare la propria foto del profilo con la bandiera arcobaleno, quella dei diritti civili. In mezza giornata Facebook è diventato un trionfo di colori, colori ovunque, che tracimavano fin sui profili di autorevolissime testate giornalistiche, opinion leader, insomma: la gggente.
Tutti accomunati dal filtrino arcobaleno di Facebook. Cosa deve aver pensato il marziano di fronte a un tale profluvio di solidarietà? Qui non si tratta solo di una foto colorata, perché la parola virale, in effetti, richiama il contagio trasmissibile via social network della malattia più penosa dell’èra internettiana, il pensiero unico global. E’ l’utente di Facebook trasformato in pecorone arcobaleno. Ieri l’Atlantic ha avanzato l’ipotesi che quei milioni di utenti che hanno usato l’arcobaleno social fossero in realtà l’ennesimo esperimento psicologico di Zuckerberg, che conosce i suoi pecoroni e li studia come fossero in uno zoo. Lo stesso articolo dell’Atlantic si domandava: non si rischia così di silenziare definitivamente chi non è d’accordo con il pensiero unico? Anche se avessimo un marziano davanti agli occhi, oggi, non ce ne accorgeremmo: colpa del filtro arcobaleno.