La retorica inutile dell'Italia che funziona (vero Cazzullo?)

Redazione
Siamo una schifezza ma siamo “anche bravi”. Dirlo non basta più. L’epico e cadenzato incipit di Aldo Cazzullo sul Corriere di ieri e la retorica uguale e opposta a quella autoflagellante. “L’Italia diversa” finisce per essere una foglia di fico sull’evidenza.

L’epico e cadenzato incipit di Aldo Cazzullo sul Corriere di ieri – “Occorre dire con forza che questa non è l’Italia. O, almeno, che non tutta l’Italia è così” – è di quelli, di lunedì mattina, con ’sto caldo, che vorrebbero bastare a sanare le polemiche di tutto un weekend. Sia quelle autolesioniste: siamo un paese di scioperanti abusivi, di monnezza in libertà, di autobus che non passano e aerei che non decollano e di sballati che si suicidano contromano, ammazzando la gente che va al lavoro. Sia quelle che sono, in realtà, giudizi lucidi e spietati su quello che siamo: come la prima pagina del New York Times dedicata al declino di Roma.

 

Cazzullo prosegue dicendo, come ovvio, alcune cose ovvie e sacrosante, di quelle che tutti diciamo da anni, tutti i giorni, o almeno nei giorni di sciopero selvaggio a Fiumicino e Pompei. E nei giorni, tutti, in cui ci tocca subire la “fase confusionale” di Ignazio Marino. Perché, allora, il gagliardo editoriale del Corriere non riesce a produrre il tonificante effetto di una frusta sulle nostre schiene? Non è questione di stile. Non sono i buffetti come “per fortuna c’è un’Italia diversa”, che “finisce di rado sui giornali internazionali”. E’ che pure questo gioco è frusto, costituisce una retorica uguale e opposta a quella autoflagellante. “L’Italia diversa” finisce per essere una foglia di fico sull’evidenza. No. Per diventare “diversi” occorre lavorare molto, e chiamare le cose per nome: i sindacati e gli scioperi, i sindaci inadeguati e le rendite di posizione. Altrimenti, vendere “l’Italia che funziona” è tale e quale a vendersi il Colosseo. E’ Totò.

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