Michael Derrick Hudson

Essere Yi-Fen Chou

Redazione
Poeta bianco e sfigato inventa un nome cinese per essere pubblicato ed è trionfo letterario immediato. Quando si parla di pseudonimi, spesso c’è una morale edificante dietro alle motivazioni per cui un autore decide di cambiare nome. Non è il caso di Michael Derrick Hudson.

Roma. Joanne Rowling, l’autrice di Harry Potter, decise di usare un nom de plume (J. K. Rowling: la K deriva da Kathleen, il nome di sua nonna) per nascondere il fatto di essere donna. Karen Blixen si firmava Isak Dinesen per la stessa ragione. Quando si parla di pseudonimi, spesso c’è una morale edificante dietro alle motivazioni per cui un autore decide di cambiare nome: per esempio Rowling è passata dal nascondere il suo essere donna a diventare la più ricca del Regno Unito, costruendo una “success story” che fa la gioia di tutte le ragazze. Ma per Michael Derrick Hudson, poeta amatoriale ed esperto di genealogia in una biblioteca pubblica dell’Indiana, la scelta di un nom de plume è diventata, anche se è difficile dire quanto consciamente, un modo per mettere in ridicolo il politicamente corretto nel mondo della letteratura americano.

 

Hudson ha cercato per mesi di pubblicare una delle sue poesie, dal titolo didascalico “The Bees, the Flowers, Jesus, Ancient Tigers, Poseidon, Adam and Eve”, sulle maggiori riviste di poesia d’America. La invia a quaranta diverse testate firmandola con il suo nome, e ottiene quaranta rifiuti tondi. Ma non si scoraggia e cambia strategia. Adotta un nom de plume asiatico, Yi-Fen Chou, e trasforma l’anonimo bibliotecario wasp di Fort Wayne in un esotico scrittore di origini cinesi. Improvvisamente, la sua poesia tanto bistrattata assume nuovo interesse. Hudson la propone ad alcune altre riviste sotto falso nome e ottiene successo. “The Bees” è selezionata per una prestigiosa raccolta annuale pubblicata dalla rivista Prairie Schooner, che seleziona “Il meglio della poesia americana”. Ma quando Hudson svela (prima della pubblicazione) che Yi-Fen Chou è solo un banale uomo bianco scoppia lo scandalo.

 

[**Video_box_2**]I lettori si sentono traditi, i critici presi in giro, la comunità letteraria di origini asiatiche è in tumulto. Hudson è accusato di razzismo e di essere politicamente scorretto. Si è appropriato di una “identità etnica” che non è la sua, dice la professoressa della Chapman University Victoria Chang al Washington Post, o piuttosto ne ha inventata una, perché nella sua poesia non c’è traccia di cultura asiatica: è bastato il nome per aprire al curatore della raccolta panorami da estremo oriente, e questo è sufficiente per far fioccare l’accusa di razzismo. Ma peggio ancora, Hudson ha sollevato il dubbio che la sua poesia, e dunque per estensione l’opera degli scrittori di origine asiatica, sia pubblicata non solo per la qualità del testo, ma anche in nome della “diversity” e del politicamente corretto, esattamente come nelle università americane è garantito un certo numero di posti agli studenti che appartengono a minoranze. Sherman Alexie, curatore della raccolta, si è difeso dicendo di aver scelto “The Bees” solo per la sua qualità, ma i quaranta rifiuti precedenti sollevano il dubbio: se la poesia fosse stata firmata da Hudson sarebbe mai stata pubblicata? Su Slate Katy Waldman non si pone un problema: è normale che la “diversity” sia un criterio di selezione, ed è per questo che Hudson ha barato. Forse le minoranze non saranno liete di sapere che il loro successo letterario dipende dal colore della pelle, ma così funzionano gli eccessi del politicamente corretto.