Storytelling a parte
Roma. Si registrano sempre più spesso orticarie e fastidi epidermici dovuti all’uso – puntuale o abusivo – di una parolina che fa il paio con “new journalism”, o “fluid newsroom”. La parola in questione, lo avrete capito, è “storytelling”. Quale sia il rapporto tra la narrazione e il giornalismo lo lasciamo decidere agli accademici delle Scienze dell’informazione. Il fatto è che questo tipo di giornalismo raccontato, coinvolgente e sensoriale, considerato perfino più elevato rispetto al giornalismo neutro e anglosassone, rischia spesso di scivolare pericolosamente verso la furberia, verso il lifting fotogenico della notizia. Prendiamone una: l’emergenza immigrazione. Da mesi la narrazione ha preso il posto della realtà. Raggiunge un risultato immediato chi racconta la storia di chi scappa dalla guerra o dalla povertà. Un microfono davanti alla bocca ed ecco servito lo storytelling. Eppure non è sempre così facile. Ci sono esempi di racconti quotidiani che hanno centrato in pieno il valore di un’informazione non fine a sé stessa, non puramente emotiva: non solo drammatizzazione, ma informazione. E ci sono esempi meno nobili, di chi sfrutta il dramma con la freddezza dello share (e la nostra televisione è maestra). Poi c’è l’inconsapevole (auto)censura, il lifting per nascondere le rughe dei fatti, indotta da una sorta di incapacità di equilibrio. Nel caso dell’immigrazione, la notizia è stata spesso rappresentata dal punto di vista esclusivo degli immigrati. Tralasciando le voci di chi l’immigrazione la subisce – e che non è d’accordo con le politiche d’accoglienza – non si rischierà mai di essere tacciati di razzismo, di xenofobia. Lo storytelling fila via liscio.
Eppure, nel faticoso mondo del giornalismo televisivo, di nuovo è il telegiornale della tv di Murdoch a dare una bella lezione di comunicazione e informazione. Da stasera inizia una serie di documentari (quattro in totale) che raccontano la periferia romana ai tempi dell’immigrazione. Il format è quello di “Benefits Street”, importato dall’inglese Channel 4, che nel 2013 andò a documentare le periferie di Birmingham dove il 90 per cento dei cittadini era completamente dipendenti dai sussidi e dal welfare. SkyTg24 ha affidato la produzione a FremantleMedia – la società britannica che in Italia ha già firmato vari successi editoriali – e si chiama “Cronache di Frontiera”. Otto settimane di riprese, un tempo lunghissimo per una testata italiana ma appena sufficiente per raccontare ogni aspetto di una crisi. Nessun commento, nessuna presa di posizione, la narrazione è guidata esclusivamente dalle immagini, ha spiegato durante la conferenza stampa il direttore Sarah Varetto. Il VI Municipio di Roma, da Tor Bella Monaca a Torrespaccata, i reati, gli abusivi, gli immigrati, i rom. E gli italiani, incazzati.
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