Comment is not free
Comment is Free” è la fortunata sezione online del quotidiano inglese Guardian, un ambiente del giornale aperto a un gruppo di blogger privati, il vanto del “giornale aperto”. Pezzi scritti da firme illustri e meno, che possono essere commentati dai lettori (previa iscrizione). Adesso però la direzione del Guardian annuncia che eliminerà la possibilità di postare commenti agli articoli “sulla razza, l’immigrazione e l’islam”. La ragione, secondo il giornale ultra-progressista, è che tali argomenti attraggono un “livello inaccettabile di commenti tossici”. Ovvero non sono in linea con l’ideologia del quotidiano britannico. “Queste conversazioni portano poco valore, ma causano costernazione e preoccupazione sia tra i nostri lettori sia tra i nostri giornalisti”, scrive l’editor Mary Hamilton in una involontaria reminiscenza orwelliana. Alla faccia di chi aveva accolto quel tipo di giornalismo come un passo avanti verso la democrazia e la libertà di parola.
Il Guardian aveva alimentato questa adulazione per i commenti aperti su internet. Giornalismo partecipato. Ma evidentemente l’abbraccio della sinistra con i lettori è durato fino a quando questi ultimi sono stati d’accordo con essa. Una volta che le masse iniziano a sfidare le élite, allora meglio passare all’accetta. Per questo i liberal stanno passando a nuovi sistemi di controllo sul web. Lo si è visto nel caso delle vignette di Charlie Hebdo, quando i gestori di Facebook hanno fatto a gara nel purgare le loro piattaforme da pericolosi contenuti “islamofobi”. Non c’è niente di più libero e di oppressivo della rete. Dirlo a Casaleggio.