Cercasi tv per il film su Charlie Hebdo
Netflix va bene, ma non arriva al grande pubblico. Per questo è un peccato che il bellissimo film di Daniel ed Emmanuel Leconte, padre e figlio, “Je suis Charlie”, sia confinato nella piccola gabbia del digitale. Servirebbe un canale tv che lo trasmettesse in tutta Italia. Perché è un film splendido e coraggioso. Perché fa parlare i sopravvissuti della strage più importante del XXI secolo dopo l’11/9. Perché è andato a trovare materiale inedito sui giornalisti e vignettisti uccisi, mostrandoci cosa li portò a decidere di pubblicare le vignette su Maometto, condannandosi a morte. Perché si interroga, intervistando pezzi da novanta della cultura francese come Elisabeth Badinter, sulla battaglia (forse persa) della libertà d’espressione.
E’ un peccato che la gente non possa vedere “Je suis Charlie”, perché l’emozione e la verità contenute in quei volti e in quelle parole spingerebbero tanti a capire davvero questa storia e le tante altre che hanno scandito un decennio di intimidazione islamista e di viltà occidentale (Van Gogh, le vignette danesi, Ratisbona). Nel film Philippe Val, già direttore di Charlie, spiega che non è come ai tempi di Diderot e Victor Hugo, gli scrittori esiliati dal potere statale. Nel caso di Charlie, il potere statale è rimasto vittima (tramite i poliziotti assassinati dai sicari islamisti) o è sempre stato imbarazzato dall’esercizio della libertà di espressione da parte di quel manipolo di “eroi”, come li definisce Badinter. Bisogna sentirlo raccontare dagli amici di “Charb”, sul cui corpo i due terroristi tornarono per sparargli di nuovo. Volevano essere certi che fosse morto. Per aver pubblicato delle vignette.