La trattativa Stairway-mafia
Tutti i grandi gruppi rock dei primi anni Settanta hanno il proprio equivalente di “Stairway to Heaven”, la loro potente dichiarazione programmatica: i Deep Purple hanno “Child in Time”, i Jethro Tull hanno “Aqualung”, i Genesis “Supper’s Ready”. Ma solo “Stairway to Heaven” è nota a tutti quelli che ascoltano la musica rock. Così scriveva un paio di anni fa il direttore della sezione musicale del Guardian, Michael Hann, in un articolo monstre che ricostruiva i motivi per cui proprio quel pezzo dei Led Zeppelin divenne leggendario, e cambiò per sempre il rock e la musica. E’ per quegli stessi motivi che il processo che sta andando in scena a Los Angeles, più che un processo sul diritto d’autore e il copyright, è una vendetta. La vendetta che ha consumato per decenni chi non è riuscito a fare di una canzone una leggenda. Si parla da molto di un presunto plagio dell’arpeggio iniziale di “Stairway to Heaven” ai danni della canzone “Taurus” della band californiana Spirit.
Del resto la storia dei Led Zeppelin è piena di crediti e “citazioni”. Su Wikipedia c’è addirittura una pagina dedicata alle canzoni della band “scritte o ispirate da altri”. Ma la bandiera del diritto d’autore e dei cavilli giudiziari è remunerativa. A trascinare in tribunale i Led Zeppelin questa volta è stato il bassista degli Spirit, Mark Andes, su “mandato” del compianto chitarrista Randy California. Andes ha citato Robert Plant e Jimmy Page soltanto nel 2014, 45 anni dopo la prima pubblicazione di “Stairway to Heaven”. E Page, 72 anni, ha testimoniato due volte durante le tre udienze. Ha detto di non aver mai sentito “Taurus” prima delle chiacchiere sul plagio, e si è portato in tribunale la chitarra, per ogni evenienza. Il circo mediatico-giudiziario si fermerà ad ascoltarlo suonare.