Il salotto talebano dei benintenzionati
Recalcati discolpa l’islam e trasforma la strage di Nizza in paranoia
La strage di Nizza come una allucinazione dell’io malato, come una “paranoia”, come una “psicosi” che non ha nulla a che fare con l’islam, come il risvolto dell’“esistenza cinica e narcisistica che domina l’occidente”, il kamikaze come “travestimento ideologico di tipo illusionistico”, non il martire in nome di Allah, quanto “i fantasmi più oscuri della mente”. Mohammed Bouhlel come Hannibal Lecter. Forse Massimo Recalcati ha riversato su pagina tutta la propria impotenza intellettuale nell’analisi dell’attentato in Francia. Forse voleva soltanto esercitarsi con un po’ di bella scrittura. Perché quanto lo psicoanalista-letterato ha scritto su Repubblica venerdì testimonia lo stato pietoso della nostra cultura, questo salotto talebano dei benintenzionati, il fronte interno dello stile di vita che difendono a chiacchiere e che ama l’aspettativa di vita molto più della vita stessa, esorcizzando ogni tipo di pericolo come in un immenso centro di cure preventive e che pretende di rimanere ingenuamente inconcusso.
L’articolo di Recalcati è un esempio di perfetto depistaggio che distingue i nostri intellettuali, cosiddetti. Come quando, nello stesso giornale, dopo la strage di Tolosa, avevano già trovato i colpevoli perfetti ed erano i giovani neonazisti, i parà tatuati infarciti di letture hitleriane, la strage alla scuola ebraica come una trama dell’intolleranza. Tanta la delusione quando si scoprì che il terrorista era un musulmano di nome Mohammed Merah e dopo smisero di occuparsi della strage di bimbi ebrei. Per questi scrittori e redazioni di giornale, sempre pronti a parlare di “abisso” e “barbarie”, sarebbe sempre molto più facile se fossimo noi i colpevoli, i bianchi cattivi. E’ molto più difficile capire che la strage islamista ci riguarda. Sono i critici della democrazia che dopo l’11 settembre hanno detto: “Non dobbiamo imporre i nostri valori credendoli universali”. E che così facendo, credendosi invulnerabili, hanno lasciato che gli islamisti ci imponessero l’insicurezza.
Se Recalcati ha tempo gli consigliamo una intervista sul Figaro ad Alain Finkielkraut, “immortale” di Francia, intellettuale un po’ più corposo. “Per l’islam radicale, è giunto il momento, dopo secoli di espansione europea, della vendetta”, dice il filosofo francese. “Ciò che sperimentiamo è lo scontro di culture”. E ancora: “Sull’altare della lotta alla discriminazione hanno allegramente sacrificato l’identità francese”. Scontro? Identità? Culture? Di questo dovrebbero parlare gli scrittori. Quando gli hanno chiesto quali intellettuali stimasse, Finkielkraut ha risposto: “Elisabeth de Fontenay, Claude Habib, Philippe Raynaud, Jean-Pierre Le Goff, Jacques Julliard, Paul Thibaud, Pierre Manent e Michel Houellebecq”. Inutile cercare: Massimo Recalcati non è fra quelli.