Il tributo dell'èra post gender
Per mere ragioni linguistiche in Italia la questione non si pone, ma tra i genitori americani dilaga ormai l’uso di dare ai propri figli nomi neutri. Nomi “post gender”, come li definisce il New York Times, che possono essere usati indifferentemente per maschietti e femminucce. Hanno iniziato le star di Hollywood, come Megan Fox che ha chiamato suo figlio Journey, o Dax Shepard che ha azzardato un Delta per la sua bambina. Ma lungi dall’essere una stravaganza da star annoiate, l’uso dei nomi post gender è diventato sempre più comune anche fuori da Hollywood, tanto che secondo statistiche raccolte dal Nyt l’uso di nomi neutri come Hayden, Maxwell, Frankie, Charlie, Dakota è aumentato del 60 per cento nell’ultimo decennio.
Non sono solo i nomi ad aver superato gli antiquati orpelli delle differenze di genere. Alcune compagnie di abbigliamento, come per esempio Banana Republic, hanno abolito la tradizionale distinzione di colori (rosa per le femmine, azzurro per i maschi) nelle loro linee dedicate all’infanzia, seguendo l’esempio di certe grandi case di moda per adulti che hanno inaugurato collezioni “gender free”, caricando di significato ideologico il vecchio unisex. Alcune scuole elementari hanno abolito le differenze di genere negli abiti che i bambini indossano durante le cerimonie scolastiche. Insomma, dopo il gender siamo entrati nell’èra del “post gender”, con simboli e costumi a cui anche i bambini, perfino i neonati, si devono adeguare. Tutto è perfettamente in linea con la ben nota dittatura del politicamente corretto, ma forse qualcuno dovrà chiedere alla piccola Delta come si senta con cotanto nome.