Hieronymus Bosch a Guantanamo
Dopo aver conosciuto la fama tra i contemporanei (ne parlò, ammiratissimo, anche Guicciardini), e dopo un oblio di cinque secoli, Hieronymus Bosch gode ora dei più disparati favori della moda. Oggi ricorrono i 500 anni dalla morte. Di Bosch si sono impadroniti il surrealismo, la psicoanalisi, e forse ancor più il gusto del demoniaco che imperversa. Scrive Ulrike Knöfel sullo Spiegel: “Hieronymus Bosch, il grande pittore olandese le cui immagini raffigurano gli orrori e il terrore del passato, presente e futuro, è morto cinquecento anni fa. Nell’èra di Abu Ghraib, di Guantanamo e dello Stato islamico, il suo lavoro è sentito come contemporaneo”. Bosch ha creato labirinti di atrocità, ha raffigurato diavoli e mostri, persone torturate. Ma accostare la prigione per terroristi di Guantanamo, o l’abuso isolato e condannato di alcuni prigionieri nel carcere di Abu Ghraib, alle fosse comuni dello Stato islamico è un’operazione meschina e di basso livello.
Tuttavia è un tic ideologico comune a tanti critici culturali contemporanei. C’è qualcosa di grottesco nell’equiparazione fangosa tra la violenza sistematica dei regimi dittatoriali e gli episodi illegali di crudeltà nelle prigioni irachene, fra Saddam Hussein e Abu Ghraib ieri, fra le gabbie dell’Isis e le celle di Guantanamo oggi. E’ così che gli assassini islamici nell’opinione pubblica italiana la fanno franca, che nessuno si occupa di loro, perché è troppa l’urgenza di definirci tra noi, di addebitare qualcosa a qualcuno nel conto aperto dal grottesco dibattito sulla guerra civile permanente. Con il risultato della cancellazione in effigie del nemico.