La buona informazione (si) paga
I numeri del Washington Post e la lagna sulla crisi dei giornali
L’acciaccato mondo dei giornali vive da tempo un periodo di crisi dal quale non sembra potere uscire. Costi sempre più alti, pubblicità in calo e vendite in edicola in ribasso da una parte, difficoltà a monetizzare su internet dall’altra (quanti danni ha fatto il tutto gratis), fanno dire da tempo a esperti e osservatori che il declino non si fermerà. Schiacciati da social network, fake news e siti mediocri che vivono di clic facili grazie a notizie che non lo sono, i quotidiani tradizionali faticano anche a farsi riconoscere per autorevolezza. La storia recente del Washington Post, invece, dimostra che investimenti mirati, analisi dei risultati e insistenza sul giornalismo di qualità premiano.
E’ notizia di questi giorni che nei primi mesi del 2017 il quotidiano acquistato da Jeff Bezos appena tre anni fa assumerà decine di nuovi dipendenti. Anche grazie alla martellante campagna contro Donald Trump durante le presidenziali americane, con una continua produzione di articoli di alto livello, il Post si è ritagliato un nuovo spazio fondamentale nell’informazione Usa. Lo studio intelligente dei punti di forza dell’anno passato ha fatto il resto: aumenteranno le newsletter, le inchieste approfondite, l’accuratezza con cui verranno date le breaking news e si continuerà a puntare sugli abbonamenti a pagamento anche online, cresciuti del 75 per cento in dodici mesi. Mentre ci si arrovella su come impedire alle fake news di influenzare l’opinione pubblica e creare conseguenze politiche e sociali dannose, c’è chi continuando a fare bene il proprio mestiere ha trovato il modo di fare informazione di qualità ricominciando a generare profitti. Prendere nota, invece di lamentarsi.
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