Verdelli lascia, la riforma Rai pure
Toccare l’informazione era ciò che i partiti non volevano. Fatto
Con le dimissioni, ieri, di Carlo Verdelli, anticipate un mese fa dall’uscita di Francesco Merlo, la Grande Riforma della Rai è fallita. Miseramente. Ed è ormai chiaro che, fuori dai telegiornali di viale Mazzini, è appeso un metaforico cartello: “Chi tocca questi fili muore”. Appeso dai partiti, ma non solo da loro. Verdelli, direttore editoriale per l’offerta informativa, l’uomo che avrebbe dovuto riformare i telegiornali, si è dimesso perché, al termine di un Consiglio di amministrazione, il suo piano di riforma del sistema delle news (il trasferimento del Tg2 a Milano, le macroregioni, l’integrazione tra Rainews e Tgr, la nascita di un Tg Sud, e di un Tg Mondo in inglese), da mesi sabotato anche attraverso propalazioni velenose, è stato sostanzialmente bocciato dalla politica che si esprime attraverso il Consiglio di amministrazione dell’azienda, organismo che sembrava già impegnato – come la Vigilanza – da quasi un anno a smontare pregiudizialmente il lavoro di Verdelli temendone forse gli effetti: un minore controllo dei partiti sull’informazione.
E infatti il piano editoriale raccontava che l’invasione della politica nella Rai comincia nelle ventuno sedi regionali che sono state trasformate, dalla legge Gasparri, in ventuno sedi di partito che organizzano il consenso elettorale e intendono il giornalismo come servizio al potentato locale vincitore delle elezioni. Ed è qui che si scardinava il vero dominio della politica sulla Rai. Ed è per questo che la politica si è difesa bocciando il piano editoriale. La Rai è insomma sempre uguale a sé stessa, forse irriformabile, probabilmente irredimibile. E Renzi, dopo il referendum, ha perso anche qui.