Il sacrificio dell'arte nostra
Ora che la controriforma statalista del Mibac è fatta, tutti si lamentano. Bravi
Adesso che la “controriforma” è fatta, riportando gli orologi del patrimonio culturale italiano all’indietro, sull’ora ferma a quel dì della burocrazia del Collegio Romano, tutti si svegliano e si lamentano. La verità, purtroppo, è che nel marasma dei ministri a cinque stelle Alberto Bonisoli, tecnico casaleggiano in capo al Mibac, è stato uno dei pochi lesti, e ha scritto in Gazzetta ufficiale (ora tutti parlano di blitz e di golpe, con firme il 13 e 16 agosto), a governo già politicamente defunto, la sua riforma-smontaggio della riforma Franceschini e l'ha blindata con una serie di decreti attuativi. Prendendo a calcioni il lavoro fatto ai tempi del governo Renzi, ma anche la Lega, divenuta d’un tratto una forza nemica: vedi il caso Cenacolo tolto alla Regione Lombardia per affidarlo a Brera (museo statale).
Comunque sia, Bonisoli ha ottenuto, nell’indifferenza politica generale, i risultati neo-statalisti che sciaguratamente si prefiggeva. Innanzitutto il depotenziamento dell’autonomia (relativa) dei grandi musei i cui cda, già piuttosto virtuali, sono stati aboliti (ma “per semplificare”). Poi la cosa più sottolineata dalla stampa: gli accorpamenti cervellotici e poco giudiziosi tra musei prima autonomi (l’Accademia di Firenze su tutte). Soprattutto, i provvedimenti riportano quasi tutti i poteri decisionali a Roma, da cui dipenderà in una asfissiante filiera burocratica ogni cosa. Il contrario di un’idea moderna della Pubblica amministrazione. Uno dei punti di retromarcia più gravi è il grande potere conferito al Segretario generale del ministero, che conterà più del ministro, e disporrà di un controllo de facto sulle strutture “distrettuali”. Poi ci saranno ben undici direzioni generali, che prosciugheranno ogni autonomia. Tra cui spicca quella che deciderà su tutti i contratti e gli appalti. E ora paradossalmente arrivano critiche persino da chi volevano abolire la riforma considerata troppo liberista di Franceschini, come Tomaso Montanari, che denuncia “un cambiamento pensato male e gestito peggio, che porta a un ulteriore accentramento politico”. Incredibile. Critiche anche dal Pd, silente per mesi. Proprio adesso che Dario Franceschini sta provando ad andare al governo con i boia della sua riforma.